Marco Bertolini, Redattore Sconfinare.
Aldo d’Orso, Redattore Sconfinare.
Domenico Letizia, Giornalista.
Eleonora Lorusso, Giornalista.
Maurizio Melani, Ambasciatore.
Cristina Pappalardo, Giornalista.
Stefano Ronca, Ambasciatore.
Francesco Sitta, Redattore Sconfinare.
Luca Volpato, Ufficio Italiano del Consiglio d’Europa.
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Il sito www.viaggiaresicuri.it, curato dall’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale in collaborazione con l’ACI, fornisce informazioni quanto più aggiornate possibile su tutti i Paesi del mondo.
Nella pagina del Paese dove intendete recarvi appare in primo piano un AVVISO PARTICOLARE con un aggiornamento sulla situazione corrente, in particolare su specifici problemi di sicurezza, fenomeni atmosferici, epidemie, ecc.
Oltre all’Avviso Particolare è disponibile la SCHEDA INFORMATIVA, che fornisce informazioni aggiornate sul Paese in generale, con indicazioni sulla sicurezza, la situazione sanitaria, indicazioni per gli operatori economici, viabilità e indirizzi utili.
Ricordatevi di controllare www.viaggiaresicuri.it
anche poco prima della vostra partenza perché le situazioni di sicurezza dei Paesi esteri e le misure normative e amministrative possono variare rapidamente: sono dati che aggiorniamo continuamente.
Potete acquisire le informazioni anche attraverso la Centrale Operativa Telefonica dell’Unità di Crisi attiva tutti i giorni (con servizio vocale nell’orario notturno):
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Suggeriamo caldamente a tutti coloro che sono in procinto di recarsi temporaneamente all’estero, nel loro stesso interesse, di munirsi della Tessera europea assicurazione malattia (TEAM), per viaggi in Paesi dell’UE, o, per viaggi extra UE, di un’assicurazione sanitaria con un adeguato massimale, tale da coprire non solo le spese di cure mediche e terapie effettuate presso strutture ospedaliere e sanitarie locali, ma anche l’eventuale trasferimento aereo in un altro Paese o il rimpatrio del malato, nei casi più gravi anche per mezzo di aero-ambulanza.
In caso di viaggi turistici organizzati, suggeriamo di controllare attentamente il contenuto delle assicurazioni sanitarie comprese nei pacchetti di viaggio e, in assenza di garanzie adeguate, vi consigliamo fortemente di stipulare polizze assicurative sanitarie individuali.
È infatti noto che in numerosi Paesi gli standard medico-sanitari locali sono diversi da quelli europei, e che spesso le strutture private presentano costi molto elevati per ogni tipo di assistenza, cura o prestazione erogata. Negli ultimi anni, la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie (DGIT) ha registrato un aumento esponenziale di segnalazioni di casi di italiani in situazioni di difficoltà all’estero per ragioni medico-sanitarie.
Occorre ricordare che le Rappresentanze diplomatico-consolari, pur fornendo l’assistenza necessaria, non possono sostenere nè garantire pagamenti diretti di carattere privato; soltanto nei casi più gravi ed urgenti, esse possono concedere ai connazionali non residenti nella circoscrizione consolare e che versino in situazione di indigenza dei prestiti con promessa di restituzione, che dovranno essere, comunque, rimborsati allo Stato dopo il rientro in Italia.
Per ottenere informazioni di carattere generale sull’assistenza sanitaria all’estero, si rinvia al sito del Ministero della Salute, evidenziando in particolare il servizio “Se Parto per…” che permette di avere informazioni sul diritto o meno all’assistenza sanitaria durante un soggiorno o la residenza in un qualsiasi Paese del mondo.
Il Conflitto Russo Ucraino: ricadute sul piano politico-strategico e militare.
Tradizionale appuntamento con le Giornate di Studio promosse dalla Marina Militare Italiana e dall'Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia. L'evento che si è svolto nella biblioteca dell’istituto all’Arsenale di Venezia, nella mattinata del 12 ottobre 2023, è stato aperto dal saluto dell’ammiraglio Andrea Petroni, comandante dell’Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia. Durante l'introduzione, Giuseppe Schivardi, contrammiraglio e Direttore dell’Istituto, ha posto l'accento sull'importanza del momento storico cruciale, nel quale dopo più di un anno di guerra Russo Ucraina si sono aggiunti scenari preoccupanti da analizzare a fondo.
Il primo panel ha visto la partecipazione di Alessandro Colombo, Professore ordinario del Dipartimento di studi Internazionali dell’Università degli studi di Milano. Direttore del Programma di Relazioni Transatlantiche all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) per il quale cura del 2000 il rapporto annuale, ha concentrato la sua attenzione sulla politica estera degli Stati Uniti d’America negli ultimi 10/15 anni che - ha sottolineato - si è distinta per il suo disimpegno. La posizione netta nella crisi Ucraina ha quindi rappresentato una discontinuità. Lo slogan che ha connotato Biden: America is back, l’America è di nuovo nel mondo cioè vicina ai suoi alleati, è stata la chiave di volta della nuova politica estera Usa. Il ritiro dall’Afghanistan venne percepito come un colossale fallimento Usa. Ma ora gli americani sono ritornati per prendere la guida dei loro tradizionali alleati ed indicare loro la via da seguire. Certo è una gestione complessa della loro egemonia sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista della legittimità. Gli Usa hanno letteralmente richiamato all’ordine gli alleati che avevano aperto legami collaterali con Russia e Cina. Biden ha insomma rilanciato un multilateralismo non inclusivo: ora la porta non è più aperta a tutti ma solo per gli amici. La globalizzazione non è morta e non è finita ma si fa solo con gli amici. A questa posizione, fin qui tenuta con una certa fermezza, si frappongono ragioni interne. L’opinione pubblica americana, avvicinandosi le elezioni presidenziali del prossimo anno, dà segni di contrarietà ed è favorevole ad un nuovo disimpegno, ovviamente cavalcato dal trumpisto ancora alle prese con primarie e vari problemi giudiziari ma sempre vivo e pungente. Del resto, è pur vero che ogni disimpegno magari fa diminuire la spesa economica militare a favore dell’economia interna ma diminuisce la credibilità degli Stati Uniti d’America nel mondo. Ecco - conclude Colombo - tenere insieme queste due questioni: credibilità e sostenibilità è la sfida americana.
Aldo Ferrari e Guido Samarani dell’Università veneziana di Ca’ Foscari hanno parlato di Ultima Guerra di Putin e de La Guerra Russo ucraina vista con gli occhi di Pechino.
Il primo panel è stato moderato dal Capitano di Corvetta Davide Ghermandi, vice Direttore ISMM.
Il secondo panel è stato moderato del Capitano di Fregata Luca Pegoraro. Tema Le forme del conflitto.
Walter Coralluzzo, Professore associato di Relazioni internazionali e analisi della politica estera all’università di Torino ha esordito con una provocazione: la guerra Russo Ucraina ci sta portando verso la guerra del futuro, un mix di tradizione e di innovazione. Se la Guerra del Golfo fu la guerra televisiva e le primavere arabe le guerra dei social, questa guerra rappresenterà uno spartiacque sia per il multilateralismo sia per l’uso degli strumenti di propaganda su piattaforme innovative. Forse potremmo definirla le prima guerra del metaverso (nella quale la Russia si è dimostrata goffa e inattuale).
Andrea Gaiani, Giornlista, direttore di Analisi Difesa, ha analizzato con minuzia una serie di mappe che attestano il sostanziale stallo della situazione militare.
La giornata è terminata con l’intervento di Francesco Zampieri, Dottore di Ricerca in Storia Europea e Docente all’Università La Sapienza di Roma. Per Zampieri la guerra navale nell’ambito del conflitto Russo Ucraino è fondamentale. Questo sia osservavo gli aspetti convenzionali che quelli più innovativi. L’azione della marina ucraina, dall’inizio del conflitto, è riuscita a spingere i russi sempre più a est, liberando rotte sul Mar Nero indispensabili ai trasporti di grano ed altre materie prima alimentari. Del resto, i russi hanno dimostrato che negli anni le loro scommesse strategico militari erano tutt’altro che errate: i missili a brodo di unità navali relativamente piccole in grado di viaggiare per 1000/15000 chilometri sono stati una grande intuizione deterrente.
LETTERE SUL MONDO
CIRCOLO DI STUDI DIPLOMATICI
Stefano Ronca
1. L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E IL SUO IMPIEGO NEL QUADRO DELLA SICUREZZA E DIFESA
Dagli scacchi ai droni passando per Alexa
Nel 1997, Garry Kasparov il più grande scacchista al mondo, venne battuto in 19 mosse da Deep Blue, il super computer dell’IBM. Solo pochi anni prima era impensabile che una macchina potesse prevalere sull’intelligenza umana da cui era stata creata.
Deep Blue basava la sua “bravura” su programmi incentrati su mosse concepite da esperti giocatori. In altre parole, il software del computer si fondava su strategie e mosse elaborate da esseri umani. Il vantaggio competitivo della macchina risiedeva nella sua strabiliante velocità di calcolo che gli permetteva di analizzare 200 milioni di mosse al secondo.
Ma nel 2017 il programma di scacchi allora più potente al mondo è stato clamorosamente battuto da AlphaZero, un algoritmo sviluppato da Google. Si trattava di vera rivoluzione perché AlphaZero non operava sulla base di strategie programmate da esseri umani. La sua abilità era frutto di un addestramento dell’Intelligenza Artificiale alla quale i creatori avevano” insegnato ad imparare” per ottenere il massimo numero di vittorie. Alpha Zero eseguiva mosse che nessun giocatore aveva mai previsto. Sacrificava pezzi all’inizio della partita che i giocatori umani ritenevano essenziali come la regina. Ma che succederebbe, si chiede H. Kissinger, nel suo ultimo libro “l’Era dell’intelligenza Artificiale”, se per ragioni di sicurezza nazionale l’IA decidesse che vanno sacrificati un gran numero di cittadini per garantirsi la vittoria sul nemico?
La rivoluzionaria intelligenza artificiale, per quanto si tratti di una tecnologia complessa, si può sintetizzare in un’idea di fondo semplice: sviluppare sistemi hardware e software dotati dicapacità di imparare autonomamente dai dati che gli vengono forniti e capace di costruire un modello autonomo ed originale per ogni specifico problema che gli si presenta.
Nell’ultimo ventennio l’IA si è inserita in ogni aspetto della vita dell’uomo. Sicurezza e difesa non sono rimaste al margine. Si è ormai convinti negli ambienti della sicurezza che il mondo si trovi sull’orlo di una rivoluzione pari, e forse superiore, a quella che determinarono le armi da fuoco nel 1300 e quelle nucleari nel secolo scorso. E la competizione fra Stati per guadagnare posizioni di vantaggio nel campo dell’intelligenza artificiale applicata alla difesa è crescente.
L’IA è stata in grado di produrre una drammatica evoluzione capace di mutare la natura delle guerre attraverso l’accelerazione dei processi decisionali, dell’intelligence, della potenza e delle tipologie delle armi (per esempio l’applicazione dell’IA alla guerra cibernetica). L’IA ha infatti la capacità di mutare in modo radicale la metodologia dei conflitti. L’IA non è solo una tecnologia. È una classe di tecnologie che possono venire integrate in un ampio spettro di applicazioni anche militari.
Secondo Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group, oggi i più avanzati modelli di IA dispongono di un potere di elaborazione 5 miliardi di volte superiore a quelli di dieci anni fa. Ed entro cinque anni saranno disponibili modelli di IA in grado di gestire cento miliardi di miliardi (100 trillion) di parametri che è circa il numero delle sinapsi del cervello umano. Nel 2018, GPT1, modello linguistico già in grado di creare testi e rispondere a domande, lavorava con 117 milioni di parametri. Oggi GPT4 lavora con oltre 1000 miliardi di parametri.
“L’intelligenza artificiale”, ha detto nel suo discorso al Parlamento Europeo sullo Stato dell’Unione il Presidente della Commissione von der Leyen il 13 settembre 2023 “procede con incrementi che i suoi creatori non avevano previsto”. “Accessibile, potente, adattabile essa verrà impiegata per usi civili e militari. L’IA migliorerà l’assistenza sanitaria, incrementerà la produttività e permetterà di gestire i cambiamenti climatici. Ma oggi, affermano gli esperti, è una priorità ridurre i rischi di estinzione a causa di una pandemia o di una guerra nucleare che l’IA potrebbe provocare. L’IA ha, pertanto, bisogno di una struttura che poggi su tre pilastri: limiti, governance e innovazione guidata”.
Lo stesso giorno del discorso al Parlamento europeo, il Senato americano ascoltava Altman, Gates, Zuckemberg, Musk e altri venti personaggi chiave del settore per acquisire elementi utili per regolamentare l’IA foriera di straordinari progressi e serissimi rischi. Anche la NATO, come vedremo più avanti, ha fornito linee guida per l’impiego dell’IA e sta lavorando ad una sua regolamentazione.
La “weaponisation” dell’intelligenza artificiale
Il campo della geopolitica, della guerra e della deterrenza, è probabilmente quello che subirà a causa dell’AI le maggiori trasformazioni, secondo Michael Hirsh in “How AI Will Revolutionize Warfare”. Gli Stati Uniti hanno investito molte risorse soprattutto nell’IA applicata alle forze aeree sviluppando la capacità di pilotaggio autonomo di aerei F16 in operazione. I cinesi non sono da meno in ogni settore delle forze armate. I russi stanno lavorando sull’IA applicata all’operatività dei carri. Nuovi sistemi d’arma come sciami di aerei senza pilota che affiancano e assistono in varie funzioni aerei pilotati da esseri umani sono l’ultimo grido dell’aeronautica americana. Volendo essere ottimisti potrebbe risultarne una guerra meno letale e la deterrenza potrebbe essere rinforzata dallo sviluppo dell’IA. L’aumento esponenziale dei droni in campo terrestre, navale ed aeronautico potrebbe ridurre perdite umane in guerra. Tuttavia, prevale al momento la preoccupazione per i rischi che incontrollate applicazioni dell’IA in campo militare potrebbero comportare per l’umanità. Uno dei problemi che si pongono negli attuali conflitti, che è molto evidente in quello russo-ucraino, è la riduzione dei tempi necessari per identificare il bersaglio, comunicare la sua posizione alle proprie artiglierie, colpirlo e spostarsi rapidamente per non subire il fuoco avversario avendo rivelato con l’attacco la propria posizione. L’IA sta riducendo enormemente i tempi di questo processo che implica conoscenza di dati, elaborazione ed azione. La compressione dei tempi per l’azione è gravida di conseguenze nei processi decisionali sul campo di battaglia. Uno dei principali rischi è che questa accelerazione induca progressivamente l’affermazione di sistemi di IA che si sostituiscano all’intervento umano. Se tale evoluzione presenta già dei rischi nelle guerre convenzionali in un potenziale conflitto nucleare il pericolo per l’umanità aumenterebbe in modo esponenziale. Nel gennaio scorso il dipartimento della difesa americana ha pertanto aggiornato la direttiva sui sistemi d’arma che implicano l’impiego dell’IA inserendo nelle direttive ai comandi l’obbligo di una valutazione umana che preceda il loro impiego. Cionondimeno il Pentagono non ha accennato a diminuire i programmi di sviluppo per l’integrazione dell’IA nei processi decisionali anche se il direttore del centro di intelligence della Difesa, Gen. Shavahan, ha affermato che “tale integrazione non riguarderà il comando e controllo delle forze nucleari”. Una riluttanza a livello politico, forse ancora maggiore di quella americana nei confronti delle armi autonome, è presente anche in Russia e in Cina. Una caratteristica comune tanto alla Cina come alla Russia riguarda infatti la centralizzazione dei processi decisionali. La dirigenza politica cinese ha sempre affermato finora il controllo politico su quello militare. Sarebbe sorprendente che esso voglia delegare a dei computer ciò che non è disposto a delegare neppure alla classe militare per timore di perdere il controllo assoluto del comando. È dunque probabile che la tendenza sia quella di conservare, per quanto possibile, il controllo umano dei sistemi di difesa. Per affermazione diretta di Xi Jiping ciò è scontato per quanto riguarda le armi nucleari che sarebbero escluse da qualsiasi meccanismo di attivazione autonoma così come avviene negli Stati Uniti. Queste le intenzioni. Ma le contingenze e gli interessi, come sappiamo dalla storia, possono mutare i buoni propositi.
La competizione fra Potenze
Le due maggiori potenze che già si affrontano nella competizione per il dominio nel campo dell’IA sono Stati Uniti e Cina. Secondo Paul Sharre, noto autore negli ambienti dell’IA per la difesa, nel suo ultimo libro del 2023 “Four Battlegrounds”, i quattro campi di battaglia sui quali avrà luogo la contesa sono i talenti, gli attori (pubblici e privati) che operano in campo tecnologico, i computer e i dati. “Il Paese che prevarrà nella competizione per queste quattro risorse acquisirà vantaggi significativi in campo politico, economico e militare. Disporrà di maggiori informazioni dell’avversario e sarà più efficace nell’uso della forza militare. Dominerà l’informazione ed il cyberspace. Sarà più letale nei conflitti”.
Gli Stati Uniti possiedono numerosi talenti e sono più avanti nella ricerca e nella tecnologia. In questo campo gli USA sono il paese che presenta maggiori attrattive a livello globale per simili talenti anche se la Cina ha prodotto il quadruplo dei laureati in IA degli USA ed in Cina vi sono 400 università che offrono lauree in questa materia. L’orientamento della ricerca è diverso nei due paesi. In Cina gli studi sono diretti verso il riconoscimento di immagini ed in particolare il riconoscimento facciale, l’azione e la traduzione linguistica. Negli USA l’attenzione è più rivolta verso la comprensione e l’elaborazione dei testi, il riconoscimento vocale. Paradossalmente, comunque, l’interazione tra le due comunità scientifiche è ancora elevata e nel 2021 sono stati pubblicati 10mila studi congiunti sino-americani. Un fatto questo che potrebbe in prospettiva favorire un certo dialogo.
La Cina è indietro nella produzione dei chip ma con 900 milioni di utenti ha una superiore disponibilità di dati senza vincoli sul piano della privacy. Varie App cinesi dispongono di enormi bacini di utenza ai quali il Partito Comunista accede senza restrizioni.
Fra gli attori un ruolo essenziale viene svolto dalle società private. Il confine fra impiego civile e militare dell’IA è indefinito e l’osmosi di conoscenze fra l’uno e l’altro, così come il dual use dei sistemi civili e militari è intrinseco a queste tecnologie. Google, Microsoft, TikTok, e Alibaba sono imprescindibili protagonisti nello sviluppo dell’IA e come tali andranno inevitabilmente coinvolti nella pianificazione e sviluppo dei sistemi di IA nella difesa. A questo proposito va notato che le società private cinesi sono massicciamente finanziate dallo Stato e la sinergia tra pubblico e privato è molto più stretta che negli Stati Uniti o in Europa.
Disporre di computer di grande potenza per elaborare efficaci modelli di intelligenza artificiale è un requisito indispensabile per prevalere in questo campo. Ciò significa hardware, chips ed energia. I nuovi potenti computer con grande capacità di calcolo sono via via più complessi e costosi. I chips necessari per l’IA rappresenteranno nel 2025 il 20% del mercato dei semi-conduttori. Questo è il settore nel quale gli USA esercitano il maggior controllo nelle esportazioni verso la Cina anche attraverso pressioni su altri Paesi produttori.
L’IA sostenuta da grandi quantità di dati sarà fondamentale nelle guerre del futuro. Tuttavia, secondo alcuni autori essa non trasformerà in modo radicale il combattimento. L’intelligenza umana rimarrà in controllo dei sistemi d’arma letali, inclusi quelli che operano da remoto (droni). La situazione in area di combattimento è quasi sempre confusa e complessa e per operare efficacemente un sistema d’arma saranno sempre necessarie l’abilità, l’astuzia e la presenza del giudizio umano. Ma un paese che intenda prevalere in un conflitto armato avrà sempre più bisogno di “big-data” e della capacità di analizzare, attraverso l’IA l’informazione proveniente dal campo di battaglia. Necessiterà di computer efficienti, di algoritmi e software per gestire l’informazione nonché di scienziati, ingegneri e programmatori nei posti di comando per utilizzarli al meglio. La guerra russo-ucraina già fornisce una percezione chiara del vantaggio di chi può condurre operazioni militari basate sull’elaborazione di dati attraverso l’IA.
L’energia necessaria per la creazione di modelli di IA è molto superiore a quella già enorme necessaria al “mining” dei bitcoin. Ciò significa che le società interessate allo sviluppo dell’IA si dirigeranno sempre più anche verso l’acquisizione di fonti di energia. La disponibilità di fonti energetiche e di acqua per raffreddare i computer sarà dunque un vantaggio per lo sviluppo dell’IA.
Un dettagliato studio della RAND “Military Application of AI” commissionato dal Pentagono esamina in profondità molteplici temi attinenti all’uso dell’IA in ambito militare negli USA, Cina e Russia.
Secondo tale studio, gli Stati Uniti hanno finora sviluppato un assortimento di tecnologie militari con vari gradi di autonomia. La leadership politica è stata prudente nel valutare la decisione di dispiegare armi autonome e anche coloro che ritengono sia necessario incoraggiarne lo sviluppo, ma non il dispiegamento, restano di questa opinione. Alcuni sistemi “difensivi” (missili Aegis e Phalanx) sono giunti ad uno stadio operativo per i vantaggi che essi offrono sia in velocità che in manovrabilità in caso di attacchi simultanei di grande portata. Contrariamente nel caso di applicazioni “offensive” l’atteggiamento di leader politici è più conservatore. Questo perché il vantaggio della velocità è meno pressante nel caso di operazioni offensive. Avendo gli attaccanti l’opzione dell’iniziativa possono scegliere tempi e modi dell’attacco obbligando i difensori a reagire. Inoltre, le operazioni offensive implicano delle resistenze etiche maggiori. Gli attaccanti possono decidere di non attaccare se ciò pone in pericolo dei civili. I difensori invece non dispongono di tale scelta e viene loro riconosciuta una maggior libertà di azione sul piano etico
essendo costretti a salvare la loro vita. Il risultato di queste considerazioni è che la leadership americana non ha voluto dispiegare armi offensive autonome malgrado esse siano state già sviluppate ed utilizzate in esercitazione.
Il progetto “Maven” costituisce un interessante esempio in materia di resistenze etiche e politiche. Esso consiste in un modello atto ad analizzare filmati e fotografie raccolti da droni e satelliti con lo scopo di accelerare l’integrazione dei big data e “machine learning”. Il progetto nato nel 2017 ad opera di Google è gestito dallo scorso anno direttamente dall’Agenzia Geospaziale di Intelligence poiché i dipendenti di Google hanno rifiutato di continuare a svilupparlo malgrado il progetto fosse limitato alla raccolta ed all’elaborazione di dati e non alla gestione di armamenti. La “resistenza etica” dei componenti civili coinvolti nel progetto potrebbe metterne ancora in forse l’ulteriore sviluppo. Si tratta di un chiaro esempio di come gli aspetti etici riguardanti l’IA applicata alla difesa siano politicamente rilevanti nelle democrazie occidentali.
La Cina secondo la RAND sta attivamente sviluppando l’IA e la robotica applicata alla difesa. Attualmente non si conoscono sistemi d’arma cinesi completamente autonomi. Tuttavia, alcuni di essi lo sono già in alto grado e potrebbero facilmente operare senza il controllo umano se il loro software venisse modificato. Abbiamo già accennato alla riluttanza del Partito a cedere qualsiasi tipo di controllo significativo ad altri attori siano essi comandanti militari o modelli di software. Pechino sta conducendo ricerche nell’identificazione di bersagli tramite l’IA che potrebbe rendere i sistemi d’arma più indipendenti dagli operatori umani. Altri studi riguardano sistemi autonomi atti a fornire informazioni volte a facilitare ed accelerare i processi decisionali. Sarebbe opportuno, secondo lo studio della Rand, che gli Stati Uniti ingaggiassero Pechino in un negoziato per il bando di armi autonome letali. Purtroppo, malgrado le richieste dell’amministrazione americana di avviare discussioni “military to military” durante la visita del Segretario di Stato Blinken a Pechino nel giugno 2023, nelle quali l’IA avrebbe certamente costituito un punto centrale dell’agenda, la Cina ha rifiutato l’incontro. L’Occidente probabilmente avrebbe tutto da guadagnare da un trattato che introducesse l’obbligo del controllo umano delle armi autonome poiché gli standard etici nelle democrazie sono certamente più severi.
La Cina è molto avanti anche nello sviluppo del “concetto operativo” nell’impiego dell’IA in campo militare e nella “cognitive warfare”. Xi ha lanciato l’idea, che in italiano viene tradotta con il neologismo “intellicizzazione dello strumento militare” per descrivere la chiave della riforma militare cinese tuttora in atto. La Cina dipende per l’85% da importazioni nel settore dei microchip che sono indispensabili per lo sviluppo dell’IA e che vengono fortemente ostacolate dagli USA. Tuttavia, nel campo strategico, sostiene Mr. Takaci, responsabile del Ministero della Difesa giapponese per la sicurezza in Asia orientale, i cinesi sanno che l’abilità nello sviluppare un concetto innovativo di impego tattico di un sistema può far prevalere chi lo mette in atto su un avversario che dispone di forze superiori. Un esempio storico è la rapida vittoria della Germania sulla Francia all’inizio della Seconda guerra mondiale grazie ad un impiego innovativo dei carri armati (Blitzkrieg) malgrado la Francia disponesse di carri più numerosi e performanti dei tedeschi. E nella guerra franco-prussiana, malgrado la Francia disponesse di una tecnologia superiore a quella prussiana in campo ferroviario, Moltke riuscì a prevalere sui francesi usando le ferrovie per disperdere e poi concentrare, manovrandole simultaneamente, le truppe prussiane sull’obiettivo (idea che richiama quella dello sciame di droni). La Cina sta investendo molte risorse nella “cognitive warfare” che può essere definita come una dottrina volta a valutare e sfruttare a proprio vantaggio, con l’ausilio dell’IA ed il suo straordinario effetto moltiplicatore di analisi, aspetti psicologici, culturali ed emotivi che guidano le decisioni umane in sincronia con altri strumenti di potere. Essa mira ad influenzare l’avversario e ad ottenere il sopravvento su quest’ultimo e non implica necessariamente lo scontro. Il suo ambito di azione si situa piuttosto al di sotto della soglia del conflitto militare.
La Russia si trova in una fase molto meno avanzata della Cina, per non parlare degli USA, nel campo dell’IA. Le prospettive di sviluppo russe sono limitate da fattori strutturali, demografici e culturali. Il bilancio russo è inferiore a quello degli USA e della Cina e la Russia soffre da tempo di un continuo esodo di talenti dal Paese. Inoltre, come la Cina, la Russia è caratterizzata da una forte centralizzazione decisionale. La leadership politica e gli alti comandi russi non consentirebbero l’uso di armi autonome o anche semi-autonome in scenari dove errori tecnici possano generare situazioni escalatorie. Tuttavia, una minor riluttanza verso l’impiego di armi autonome, potrebbe derivare dalla percezione, nell’attuale guerra in Ucraina, di una reale minaccia alla sicurezza del proprio territorio. La preoccupazione strategica potrebbe rappresentare per la Russia una priorità. In tal caso Mosca potrebbe essere indotta ad usare le proprie, anche se limitate capacità, nel campo della tecnologia militare nell’IA impiegandole in modo più aggressivo dell’avversario. La Russia inoltre sta imparando molto rapidamente dal confronto con le forze ucraine nel campo della IA applicata alla guerra.
L’IA in campo militare in Gran Bretagna, Francia e Italia
Gran Bretagna: ambizioso, articolato, pragmatico ed informativo appare il sito del Department of Defence britannico sul tema dell’IA nella difesa. In 72 pagine è indicata con dettaglio non solo la catena di comando della governance in materia ma in modo chiaro la policy dell’impiego dell’IA nella difesa sostenuta da esempi pratici “...i comandi britannici possono esercitare un controllo rigoroso ed adeguato su sistemi d’arma IA anche senza una vigilanza permanente e diretta della supervisione umana. È il caso di una piattaforma navale in grado di proteggersi da missili ipersonico con sistemi autonomi che reagiscono più rapidamente di come potrebbero fare degli esseri umani”. In quest’ultimo caso il DoD introduce i limiti del mare aperto e quello di una specifica minaccia di un missile supersonico entro i quali il sistema può operare in modo completamente autonomo. Per quanto riguarda il bilancio sono stati accantonati per gli anni 2024-2025 6.6miliardi di sterline per ricerca e sviluppo e viene specificato che “ciò fornisce un’idea delle necessità per far fronte a future minacce incluse quelle derivanti dall’IA e dalle armi ad energia diretta” (armi laser).
Francia: il Ministero della Difesa pubblica sul sito l’entità dello stanziamento relativo alla ricerca e sviluppo dell’IA in ambito militare che ammonta a 700 milioni di € stanziati per il periodo 2019-2025; il reclutamento di 200 specialisti entro l’anno in corso (2023); il coinvolgimento di 5 Direzioni Generali del Ministero della Difesa; ribadisce lo stretto coordinamento con i principali attori nel campo dell’innovazione, della ricerca e nell’industria della difesa; conferma la volontà di mantenere nelle mani dei comandi militari l’impiego delle armi escludendo a priori, come fanno almeno a parole tutti gli altri, l’opzione “out of the loop” dell’operatore umano senza limiti.
Italia: nel percorrere i siti del Ministero della Difesa, degli Stati Maggiori, del CASD e del Cemiss si riscontra un’intensa attività di brainstorming sull’intelligenza artificiale, le “emerging diruptive technologies”, le operazioni multidomino, la “cognitive warfare”. Gli uffici di riferimento, al Ministero della Difesa per l’intelligenza artificiale sono l’UGID (Ufficio Generale Innovazione Difesa) e, al Segretariato della Difesa il V Reparto.
Nel bilancio Difesa per il 2023, su un totale di 27.748,5 milioni di euro, il Capitolo di Spesa 7420 prevede 120,3 milioni per “Interventi per l’attuazione di programmi ad alta valenza tecnologica” e il Capitolo 7421 877,9 milioni per “Interventi per lo sviluppo delle attività industriali ad alta tecnologia nei settori aeronautico ed aerospazio” che includono ricerca e sviluppo sul tema dell’AI in misura non specificata. Il parere espresso dal Ministero della Difesa in Commissione Difesa della Camera sul PNRR sottolinea “l’esigenza di valorizzare il contributo a favore della Difesa sviluppando le applicazioni dell’intelligenza artificiale”.
Secondo le informazioni raccolte, le Forze Armate italiane non dispongono di sistemi d’arma con capacità totalmente autonome. Nel settore privato, Leonardo, l’azienda italiana considerata la prima società nel settore della Difesa nella UE, sta sviluppando da anni tecnologie direttamente o indirettamente collegate all’AI precisando “di aderire agli standard che assicurano che l’utilizzo dei sistemi d’arma autonomi garantiscano sempre un controllo umano on the loop o in the loop”.
Accanto alle aziende private è da sottolineare il contributo delle Istituzioni accademiche quali il Politecnico di Milano e la Sapienza di Roma che hanno sviluppato negli ultimi anni diversi progetti, tra cui i velivoli UAV, in sciame o singoli, dotati di apprendimento statistico, identificazione automatica di bersagli, capacità di sorveglianza di aree prestabilite, in missioni operative e innovativi sistemi di guida autonoma di veicoli terrestri.
Lezioni dall’Ucraina
Malgrado la crescente pervasività dell’IA e della guerra cibernetica il conflitto in Ucraina ci dice che la guerra non è tutta IA e cyber. L’importanza della preparazione e del numero dei soldati, l’artiglieria, la quantità di munizioni disponibili giocano ancora un grande ruolo. Ciò che la guerra sta provando è che la “massa” in termini di forza d’urto (soldati, armi, munizioni, logistica) e la “tecnologia IA” associata a satelliti, droni, intelligence elettronica, vadano interconnesse per prevalere sul nemico. Il fattore tempo è divenuto in questa equazione un elemento centrale.
Gli ucraini hanno raggiunto risultati incredibili inventando un combattimento nel quale una varietà di sensori (video, intercettazioni di comunicazioni telefoniche, immagini termiche, radar, radio-antenne) sono in grado di scoprire bersagli nemici e comunicare la loro posizione con rapidità alla migliore arma in quel momento disponibile. Essi hanno creato ciò che viene definita una “kill-chain o kill-web” di efficacia e rapidità senza precedenti. Una app privata creata dagli ucraini chiamata “l’Uber delle artiglierie” permette di condividere in tempo reale con tutte le batterie della zona le posizioni del nemico ed intervenire con efficienza e rapidità impensabili con sistemi di comunicazione tradizionali. Ma anche i russi stanno rapidamente imparando dalle innovazioni degli avversari ucraini.
I droni che identificano autonomamente i carri armati attraverso sistemi di IA forniscono al software un elevatissimo numero di immagini di carri nelle più diverse configurazioni: mimetizzati, immersi nel fango, semi nascosti dagli alberi. Inoltre, devono essere in grado di distinguerli da veicoli civili, agricoli e per il trasporto merci. Capire se il carro è amico o nemico. In questo momento l’Ucraina è l’unico posto al mondo dove sia possibile raccogliere un’enormità di dati che le forze ucraine ed i Paesi e le società di software che le assistono stanno accumulando da 18 mesi. Alla fine della guerra gli enti e le aziende che dispongono di queste informazioni saranno in grado di offrire prodotti assolutamente originali in campo militare. È ovvio che tale messe di informazioni sia davvero attraente per gli Stati maggiori, l’intelligence e l’industria di molti Paesi.
La tecnologia coinvolge sempre più anche civili come forze combattenti. Nella guerra in Ucraina la popolazione civile opera al cuore della resistenza contro la Russia. Con la maggioranza dei civili in possesso di smartphone, l’Ucraina dispone di fatto di un esercito di 200 mila persone che agiscono come altrettanti attori nell’intelligence per la localizzazione del nemico, come hakers che operano attacchi su obiettivi russi in Ucraina, o in Russia, e attraverso piattaforme satellitari commerciali, nel mondo. Ciò comporta conseguenze legali rilevanti. Infatti, uno dei principi cardine del diritto internazionale è la discriminazione fra combattenti e non combattenti. Se i civili identificano bersagli nemici, guidano su di essi droni, minacciano strutture civili del nemico ovunque esse si trovino sono ancora protetti dal diritto internazionale come soggetti civili o diventano piuttosto potenziali legittimi bersagli militari? Secondo la Convenzione di Ginevra, infatti, i civili che prendono parte diretta nelle ostilità perdono tale protezione.
Anche in mare come a terra ed in aria il ruolo dei droni è in forte espansione. Se la marina russa possiede unità di superficie in Mar Nero in misura molto superiore all’Ucraina quest’ultima può limitarne notevolmente i movimenti vicino alla costa grazie a modelli di IA connessi con droni ed artiglieria. I droni navali (molto simili ai “barchini esplosivi” italiani della Prima e Seconda guerra mondiale) dotati di sistemi di guida moderni, di IA e comunicazioni satellitare sono la maggior minaccia per la flotta russa.
La guerra del futuro sarà una guerra di IA e droni anche in mare. Dopo l’attacco al North Stream Pipeline, la minaccia alle infrastrutture subacquee è percepita come un rischio prioritario. Nel Mare del Nord, 600 droni subacquei, alcuni dei quali completamente autonomi, sorvegliano per conto di Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca e Germania una area di 9mila km2. La NATO ha creato quest’anno una nuova cellula di coordinamento interalleato per la difesa sottomarina.
Conclusioni
L’introduzione dell’intelligenza artificiale nel settore della difesa condizionerà molti aspetti dei prossimi conflitti, specialmente se applicata a tecnologie distruttive emergenti, nelle quali l’IA giocherà un ruolo chiave. Esse comprendono, oltre ai sistemi autonomi applicati a numerose tipologie di armamenti, le biotecnologie (in particolare la creazione di DNA), le tecnologie spaziali (missili ipersonici e sistemi laser in orbita), i computer quantici. L’IA è una materia ancora volatile dove non esistono definizioni o interpretazioni condivise né una comune percezione dei vantaggi e dei pericoli che tali tecnologie comportano. Alcune recenti riflessioni di alleati europei sottolineano la necessità di creare una metodologia volta alla definizione di un linguaggio e di strategie comuni da adottare a livello internazionale. Concrete proposte di sistematizzazione miranti a creare un inventario di tali tecnologie ed un’analisi dei rischi e delle opportunità che esse comportano stanno attualmente circolando per iniziativa di alcuni Paesi. Fra i rischi, ad esempio, quello dell’abbassamento della soglia dell’uso della forza generato da tecnologie distruttive non tradizionali come quelle cyber. Fra le opportunità quella di accrescere l’efficacia dei meccanismi di controllo degli armamenti. Si tratta di uno sforzo finalizzato alla ricerca dei più adatti strumenti internazionali volti alla regolamentazione di questa complessa materia che tenga conto delle sensibilità e degli interessi dei numerosi attori coinvolti: governi, istituzioni pubbliche, industria e società civile .
LETTERE SUL MONDO
CENTRO STUDI DIPLOMATICI
Stefano Ronca
2. LA GOVERNANCE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NEL QUADRO DELLA SICUREZZA E DIFESA
Questa Lettera Diplomatica fa seguito alla precedente, dedicata all’impiego dell’intelligenza artificiale in ambito militare. Nella prima lettera dopo aver introdotto il tema generale dell’IA ed alla sua “weaponisation” ci si è soffermati sulla competizione in atto fra le principali potenze e sul ruolo che l’IA sta avendo nella guerra in Ucraina. Qui si tratterà delle implicazioni etiche e giuridiche e della crescente consapevolezza dei rischi derivanti dall’utilizzo dei sistemi d’arma gestiti dall’IA che ha indotto i governi ad intensificare le consultazioni e gli incontri internazionali volti a contenerli.
Problemi etici e giuridici dell’impiego dell’intelligenza artificiale in campo militare
Un elemento essenziale nel valutare la pericolosità dell’IA applicata ai sistemi d’arma è il loro livello di autonomia nel processo decisionale che precede l’attacco nelle fasi di osservazione, orientamento e decisione. I livelli di autonomia attribuibili a tali armi sono tre e variano a seconda del tipo di coinvolgimento umano. Nel primo l’uomo è “in the loop” e cioè deve dare il consenso per attivare il sistema d’arma. In tal caso il sistema è definito semi-autonomo. Nel secondo l’uomo è “on the loop”. Egli cioè sorveglia il processo di ricerca, d’individuazione e d’ingaggio del sistema ma può intervenire in ogni momento per prevenire o interrompere l’ingaggio. In tal caso il sistema è autonomo ma supervisionato. Nel terzo caso “out of the loop” l’operatore umano non può intervenire ed il sistema è definito completamente autonomo.
I sistemi d’arma associati all’IA, soprattutto se “out of the loop”, che indica la totale autonomia, pongono seri problemi etici e giuridici. Gli Stati maggiori tendono spesso ad affermare che il loro impiego è destinato alla difesa antimissile o al proteggersi da attacchi aerei improvvisi o nel caso di operazioni offensive per attacchi ad infrastrutture fisse (per esempio radar, sistemi di telecomunicazioni). Essi sostengono cioè che i bersagli sarebbero scelti tra strutture inanimate, veicoli militari ed obiettivi comunque non civili. O che sono destinati all’impiego in ambienti aperti (mare) dove non vi sia pericolo per i civili. Tuttavia, la possibilità che i sistemi d’arma autonomi diventino armi di distruzione di massa è secondo scienziati, esperti e giornalisti una possibilità reale e molti sono preoccupati della pericolosità di uno sviluppo in tale direzione. Qualunque sia il loro livello, infatti, esse non risponderebbero al “principio di discriminazione fra combattenti e civili” in violazione della Convenzione di Ginevra. Vi sono pochi dubbi circa il fatto che le armi autonome rientrino nell’area di competenza del diritto internazionale e che spetti dunque alla comunità internazionale il compito di regolamentare quanto prima il loro impiego.
Vari giuristi e scienziati escludono che sistemi d’arma autonomi possano essere impiegati, nel rispetto della Convenzione di Ginevra, in situazioni di combattimento, specialmente terreste, ove il teatro è dinamico e complesso e civili e militari sono spesso disordinatamente amalgamati. Non sembra vi sia ancora la possibilità di addestrare un drone ad operare in modo autonomo in situazioni tanto fluide. L’opportunità di affidare processi decisionali di comando in guerra ad un algoritmo solleva molte perplessità anche fra alcuni militari. Le decisioni in guerra richiedono infatti l’interpretazione di informazioni e valutazioni politiche e militari complesse ed incerte che implicano maturità e giudizio al di là delle competenze tecniche. Fra l’altro vi è il serio pericolo che tali sistemi possano cadere nelle mani di attori, statuali e non, di pochi scrupoli con seri rischi per la sicurezza globale. A differenza di quanto avveniva in passato quando poche erano le potenze che disponevano di grandi capacità distruttive, convenzionali o nucleari, l’IA è uno strumento che può venire utilizzato da una molteplicità di attori a causa della sua più facile proliferazione. Gli algoritmi dell’IA sono più agevoli da copiare e diffondere degli oggetti fisici. Ed i modelli di IA saranno presto gestibili anche dagli Smartphones. Nessuna tecnologia è stata, finora così facilmente e rapidamente accessibile a livello globale. Se infatti la creazione di modelli di AI richiede grandi risorse, computer potenti ed elevata capacità di calcolo, l’utilizzo di tali modelli che potrebbe servire per insidiosi attacchi informatici è possibile anche da parte di soggetti in possesso di comuni dispositivi. Questo rischio è accresciuto dal fatto che il confine tra applicazioni civili e militari dell’IA è molto indefinito. Un sistema autonomo creato per pilotare un aereo di linea può pilotare anche un caccia bombardiere. Un’applicazione per creare un vaccino può anche costruire e diffondere un virus.
Tuttavia, le principali potenze intravedono immensi vantaggi nell’IA applicata alla difesa e non accetteranno facilmente costrizioni che ne rallentino lo sviluppo lasciandoli indietro rispetto ad altre. Una raccolta massiccia di dati efficacemente elaborati dall’IA consente infatti ai comandanti di percepire con risoluzione e precisione incomparabili il quadro tattico e strategico sia per scopi difensivi che di attacco.
Questa evoluzione, che è forse già una rivoluzione in atto, comporterà esigenze contraddittorie fra loro: quella di preparare le forze armate a prevalere in caso di conflitto per mezzo di sistemi d’arma basati sull’intelligenza artificiale e quella di garantire, al tempo stesso, il rispetto di fondamentali principi umanitari come quello di proteggere i civili non combattenti. Mantenere inoltre lo sviluppo di tali sistemi d’arma assicurandosi che essi non sfuggano al controllo umano con rischi escalatori dalle conseguenze catastrofiche. Ma si peccherebbe di ottimismo contando sul fatto che i grandi competitors (USA, Cina e Russia) rinuncino a priori persino alle armi completamente autonome (quelle cioè con operatore umano out of the loop).
La governance dell’IA e le Istituzioni internazionali
L’intelligenza artificiale è una tecnologia potente destinata a divenire sempre più pervasiva, più efficace, più diffusa, più economicamente accessibile e più autonoma. Non c’è da meravigliarsi se i modelli di governance finora conosciuti non si riveleranno adeguati. Sarà necessaria flessibilità, rapidità ed immaginazione per crearne di nuovi che siano adattabili allo sviluppo esponenziale dell’IA.
Se sarà possibile trovare delle forme di governance dell’IA esse difficilmente potranno assumere le tradizionali forme di gestione esclusiva usata finora dai governi e sarà necessario includere in posizioni rilevanti nella gestione società ed altri attori privati.
La rivoluzione avviata dall’IA si svolgerà in gran parte fuori dagli apparati statali poiché si muove troppo rapidamente per il ritmo di funzionamento che caratterizza questi ultimi. Sarà anche indispensabile stabilire un dialogo fra le maggiori potenze per limitare i rischi alla sicurezza che da essa possono derivare (Bremmer).
La sensibilità delle istituzioni internazionali sull’argomento sta crescendo rapidamente. Vi è ormai un ampio consenso sul fatto che l’operatore umano debba rimanere sempre in controllo di sistemi di IA che gestiscono le armi. Ed è certamente auspicabile che l’impiego dell’IA in ambito militare divenga sempre più argomento di dibattito a livello internazionale ed interno. Sul piano multilaterale, e soprattutto in ambito Nazioni Unite, sarà più facile far venire allo scoperto i Paesi in grado di destinare grandi risorse per lo sviluppo dei sistemi di IA e verificare la loro reale disponibilità a negoziare i limiti allo sviluppo dell’IA in ambito militare.
Il 15 febbraio 2023 si è riunito all’Aja il primo Global Summit sull’uso responsabile dell’IA in campo militare REAIM (Responsible Artificial Intelligence in the Military) nel quale hanno preso parte i Ministri degli Esteri per discutere delle opportunità, sfide e rischi ad essa collegati. Al summit erano ufficialmente rappresentati 80 governi con la partecipazione di 2000 delegati appartenenti a 100 paesi. Il prossimo summit avrà luogo in Corea. Lo scopo della prossima riunione sarà la ricerca di un consenso verso lo sviluppo responsabile, lo spiegamento e l’impiego dell’IA in ambito militare entro i limiti delle leggi internazionali. Finora oltre 60 paesi hanno aderito al documento “Call to Action” sull’uso responsabile dell’IA, prodotto a conclusione dei lavori.
Nelle conclusioni della Conferenza REAIM i delegati al punto 3 “riconoscono di non essere in grado di comprendere ed anticipare le implicazioni e le sfide che derivano dall’introduzione dell’IA in numerose applicazioni del settore militare”. Sviluppare un “AI litteracy” è urgente ed indispensabile per governarne gli imprevedibili sviluppi. Di fronte al disorientamento causato dall’imprevedibilità delle conseguenze che l’IA può produrre in campo militare emerge una contraddizione. Da una parte vi è il forte interesse a collaborare per approfondire i vantaggi che dallo scambio può discendere per accrescere le capacità militari di ciascun paese, dall’altra vi è quello di collaborare per controllare le pericolose derive che possono originare da uno strumento ancora sconosciuto ed imponderabile.
Il 26 maggio 2023 il G7 ha lanciato lo “Hiroshima AI Process”, un foro dedicato all’armonizzazione della governance dell’AI che sia in linea con i valori democratici dei suoi membri e tenga conto dei delicati aspetti di sicurezza in materia.
Il 18 luglio 2023 il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres ha pronunciato un vibrante intervento al Consiglio di Sicurezza sulla necessità di regolamentare l’IA per i rischi alla sicurezza che i suoi sviluppi comportano. Tale intervento segna una tappa rilevante poiché per la prima volta il tema dell’IA è stato dibattuto in quella sede malgrado i contrasti che dividono oggi i suoi membri. Guterres nel suo intervento evoca il pericolo di attacchi ad infrastrutture vitali e di orribili livelli di morte e distruzione che l’IA, associata alla guerra cibernetica, potrebbe provocare da parte di Stati, gruppi terroristi e criminali. Si sofferma sulla destabilizzazione ed i rischi alla sicurezza indotti dallo sviluppo dell’IA in campo militare. Paventa il pericolo che armi nucleari e biotecnologiche possano venire associate a modelli di IA. “La diffusa disponibilità di strumenti di IA ed il loro facile accesso, la difficoltà di localizzare, a differenza delle armi nucleari e di agenti chimici gli strumenti dell’IA, il ruolo che attori privati possono giocare in questo campo - afferma Guterres - ha pochi eguali in altre tecnologie strategiche”. Egli pertanto caldeggia la creazione di un Ente delle Nazioni Unite che, come la AIEA in campo nucleare, elabori le linee per governare tale tecnologia e a tal fine ha deciso di convocare una Advisory Board per l’IA che faccia rapporto entro la fine del 2023 su opzioni che possano condurre alla “governance” globale dell’IA. Inoltre, rivolge agli Stati la raccomandazione di avviare una regolamentazione dell’IA a livello nazionale che rispetti la Legge umanitaria; di impegnarsi a sviluppare a livello multilaterale norme, regolamenti e principi sulle applicazioni dell’IA in campo militare e di impostare un “global framework” per regolamentare l’uso dell’IA nella lotta al terrorismo. Obiettivo finale è la formulazione di uno strumento giuridico vincolante che vieti l’uso di armi autonome che operano senza controllo umano entro il 2026.
L’intervento di Guterres in CdS è stato quanto mai opportuno. Un’improvvisa crisi fra grandi potenze potrebbe non lasciare il tempo di avviare un negoziato sulle armi governate dall’IA. È indispensabile che iniziando dai maggiori attori si identifichino meccanismi per garantire tempi di decisione compatibili con quelli necessari alla riflessione umana. Kissinger, e i suoi co- autori Schmidt e Huttenlocher, nell’”Era dell’Intelligenza Artificiale” (Mondadori, luglio 2023), esprimono con chiarezza l’urgente necessità che “i leaders di nazioni rivali siano pronti a parlarsi regolarmente sui rischi dell’IA per la sicurezza come hanno fatto i loro predecessori durante la Guerra Fredda”.
Il Consiglio europeo sulla base di uno studio della Commissione sull’IA ha proposto nel 2021 un testo (AI Act) mirante a regolamentare la materia dell’intelligenza artificiale. Il Parlamento europeo l’ha votato, a larga maggioranza, nel giugno 2023 accompagnandolo con raccomandazioni ed emendamenti. Si tratta di uno dei documenti più ambiziosi finora prodotti da un’autorevole istituzione internazionale certamente destinato a divenire un riferimento mondiale in questo campo. Tuttavia, malgrado esso riconosca la necessità di un approccio coordinato “per assicurare pace e sicurezza attraverso il controllo degli armamenti”, l’ambito militare sfugge alla regolamentazione dell’Unione Europea. Come si è già accennato, il Presidente della Commissione von der Leyen, il 13 settembre 2023 nel suo discorso sullo stato dell’Unione Europea ha dedicato ampio spazio alla necessità di regolamentazione dell’IA, impegnandosi a presentare entro cento giorni un progetto legislativo.
La posizione dell’UE in materia si evince anche dal recente intervento del suo ambasciatore presso le Nazioni Unite a Ginevra il 3 agosto 2023 nel quale egli sottolinea la necessità che sviluppo, produzione, spiegamento ed uso delle LAWS (Leatheal Autonomous Weapons Systems) debbano avvenire nel rispetto del diritto internazionale ed in particolare di quello umanitario. Una distinzione viene avanzata dall’ambasciatore della UE fra armi autonome (che essendo in contrasto con la legge umanitaria internazionale non possono essere né sviluppate né prodotte) e quelle armi che pur presentando caratteristiche di autonomia sono regolate dal diritto umanitario internazionale o sono con esso compatibili. Ma, al di là delle raccomandazioni, egli stesso ammette che l’area di competenza normativa della UE non comprende allo stato attuale quella dell’IA sviluppata ai fini militari.
I sistemi gestiti dall’IA forniti dall’industria europea all’Ucraina sono un asset fondamentale per la sua resistenza all’invasione russa. Veicoli ed aerei senza pilota forniti dalla Norvegia, Lussemburgo e Gran Bretagna e droni subacquei inviati dall’Olanda hanno il compito di prevenire attacchi russi. Veicoli terrestri senza pilota e centri mobili autonomi accrescono enormemente le capacità di intelligence ucraine. Sistemi di IA per la rilevazione acustica avvertono con anticipo l’arrivo di missili. Ora mentre l’industria europea lavora a pieno ritmo la leadership politica dell’Europa dà l’impressione di ignorare il ruolo che di fatto i singoli Paesi membri e l’industria europea giocano nel conflitto come fornitori di IA in campo militare. La proposta UE di regolamento dell’IA (Artificial Intelligence Act UE) afferma di promuovere l’uso etico dell’IA nonché il rispetto dei diritti umani ma poi ricorda, “en passant”, che gli impieghi militari dell’IA esconodalle sue competenze. Ciò lascia ai singoli Stati membri ampio margine di manovra nel settore dell’IA militare. Ecco perché sarebbe opportuno, secondo Rosanna Fanni del CEPS, che l’UE entrasse nella materia e fornisse delle linee guida sia per i sistemi dual-use che per quelli militari. Ciò servirebbe ad indirizzare le forze armate e l’industria della difesa verso la creazione e l’impiego di sistemi conformi a una posizione condivisa a livello europeo e alle leggi umanitarie. Una direttiva europea circa l’uso militare dell’IA rappresenterebbe secondo questa analisi un riferimento imprescindibile a livello globale e per qualsiasi altra istituzione internazionale. Essa darebbe inoltre la percezione che l’Europa intende esercitare un ruolo nella governance dell’IA per limitarne i rischi e l’impiego in contravvenzione alle leggi umanitarie.
L’Alleanza Atlantica è anch’essa sensibile, pur se in una diversa prospettiva, alle implicazioni dell’IA. Il Review Board della NATO sull’IA si è riunito il 7 febbraio 2023 con l’intento di sviluppare una certificazione standard per aiutare istituzioni ed industrie dei Paesi alleati a far si che i progetti di intelligenza artificiale che essi svilupperanno siano in linea con le norme ed i valori dell’Alleanza Atlantica, fra i quali figura in primo luogo il rispetto del diritto internazionale e delle leggi umanitarie. Questi ultimi sono contenuti nel documento dell’ottobre 2021 che fissa concrete linee guida nonché “checks and balances” sulla governabilità, tracciabilità e affidabilità dei sistemi. Gli standard, che si applicheranno anche allo sfruttamento dei dati ed includeranno controlli di qualità, saranno presentati al Consiglio Atlantico entro la fine del 2023.
Uno dei più interessanti problemi che Kissinger solleva nel suo ultimo libro sull’IA è quello della problematicità per i negoziati e per la deterrenza nel campo delle armi governate dall’IA. In particolare, egli stabilisce un confronto fra le armi cibernetiche, ancor più strettamente associate di altre armi all’IA, e quelle nucleari. Di queste ultime, a differenza delle prime, è stato finora possibile proibire l’uso grazie a negoziati fra le potenze basati sull’equilibrio del terrore: “ci troviamo sulla soglia di una trasformazione strategica altrettanto carica di conseguenze dell’avvento delle armi nucleari ma con effetti più diversificati, diffusi ed imprevedibili”. Il problema, secondo Kissinger, è che “valutare l’equilibrio nucleare era piuttosto semplice. Le testate nucleari potevano essere contate e la loro potenza distruttiva era ben nota”. Viceversa, le capacità dell’IA e quelle informatiche sono dinamiche, non stabilmente fissate e difficili da tracciare. “Una volta addestrate possono essere facilmente copiate ed utilizzate da macchine piuttosto piccole. Ed individuare la loro presenza o verificarne l’assenza è difficile se non impossibile”.
Inoltre, nei negoziati sulle forze nucleari era possibile descrivere le caratteristiche delle proprie testate e dei relativi vettori “senza compromettere la funzione del proprio armamento”. Nel campo degli armamenti cibernetici - una categoria fra l’altro ancora giuridicamente inesistente - lo svelamento delle caratteristiche dei propri dispositivi può provocarne la neutralizzazione da parte degli avversari. La controparte, infatti, sulla base di tali conoscenze, può intervenire con immediate contromisure difensive o dotandosi di strumenti di aggressione verso le svelate vulnerabilità dell’avversario.
Per quanto riguarda la deterrenza, l’IA pur disponendo di capacità di elaborazione non possiede la componente emotiva, né quella etica né la sensibilità politica per mettere in atto meccanismi dissuasivi nei confronti dell’avversario.
Conclusioni
L’Intelligenza Artificiale introdurrà nella vita degli individui e della società mutamenti imprevedibili con un’accelerazione finora sconosciuta. L’attrazione per i vantaggi che essa può produrre entra tuttavia in conflitto con l’incertezza, le esitazioni ed i timori per i pericoli che essa comporta. Esistono certamente rischi attinenti alla sicurezza ed alla stabilità sociale, se è vero che buona parte del lavoro svolto oggi da molte categorie di professionisti ed impiegati sono destinati a scomparire.
Ma preoccupano ancor prima i rischi attinenti alla geopolitica, alla guerra ed alla deterrenza che sono le aree soggette alle più rapide trasformazioni in un clima di elevata tensione internazionale come quello attuale. Non sarà facile per i governi, data la complessità e la velocità del suo sviluppo regolamentare l’IA se non interverranno tempestivamente. Il tradizionale ritmo ed i tempi di funzionamento degli organi internazionali e degli Stati non offrono garanzie in tal senso ed un cambiamento di passo è imprescindibile.
Il dialogo fra Stati e l’impegno degli Organismi Internazionali per avviare la istituzione di meccanismi di governance condivisi ed adeguati alle caratteristiche dell’IA è dunque davvero urgente. Abbiamo visto che negli ultimi mesi le iniziative in tale ambito sono state numerose ma poco conclusive anche a causa della guerra in Ucraina che polarizza le posizioni dei governi in aree contrapposte.
Incontri a livello diplomatico e military to military assistiti da scienziati e tecnici AI competenti e guidati da direttive politiche miranti ad accrescere la fiducia sono impellenti. Vi sono stati recenti tentativi da parte degli Stati Uniti nei confronti di Pechino finora non andati a buon fine.
Come ha recentemente suggerito Ian Bremmer su Foreign Affairs è necessaria la creazione di un organo internazionale responsabile dell’IA che fornisca una base di informazioni condivise ed affidabili, una valutazione delle conseguenze e dei rischi di alcuni sviluppi, scenari prevedibili e soluzioni auspicabili.
In secondo luogo, un meccanismo volto a prevenire la proliferazione di sistemi di IA che potrebbero mettere a rischio l’autorità e il funzionamento degli Stati. Una tale iniziativa sarebbe desiderabile per ogni governo e probabilmente anche potenze rivali sarebbero disposte a collaborare alla sua elaborazione.
Infine, considerata la natura di questa tecnologia ed il pericolo di “weaponizzazione” dei modelli da parte di terroristi e cybercriminali, sarà necessario prevedere l’istituzione di un organo capace di reagire con adeguato mandato internazionale a crisi improvvise. Un organo che abbia l’autorità di intervenire qualora si presentino rischi immediati sulla base di procedure e regolamenti condivisi e flessibili.
La geopolitica del clima: dal Mediterraneo all’Indo-Pacifico
Eleonora Lorusso
Di clima e cambiamenti globali si è discusso anche al G20 in India, mentre nel Mediterraneo sono aumentati del 135% gli eventi estremi. Fazzini: “Abbiamo tutti il dovere etico di agire per invertire la rotta”
Il clima non ha confini e la dimostrazione, nei mesi scorsi, è arrivata da più casi eclatanti: piogge sempre più violente, temporali improvvisi e dalle conseguenze devastanti, venti che sferzano territori e coste. Come quelle del Mediterraneo, che sembra vivere una tropicalizzazione senza precedenti. È accaduto con l’alluvione in Emilia Romagna, che a più riprese tra maggio e giugno 2023 ha lasciato una ferita profonda. Ma non si è trattato dell’unico evento climatico estremo recente. Secondo la Sima, Società italiana di Medicina ambientale, durante tutto il 2022 e nei primi cinque mesi del 2023 solo in Italia si sono registrati 432 episodi di elevata gravità. Lo scorso anno si sono verificati ben 310 tra grandinate, nubifragi, trombe d’aria e fenomeni analoghi, mentre nei primi 5 mesi del 2023 c’è stato un incremento del 135% di fenomeni avversi rispetto allo stesso periodo dell’anno passato (122). Ma il problema non si riguarda solo l’Italia, appunto e non ha a che fare solo con precipitazioni particolarmente intense. A preoccupare è anche il surriscaldamento.
Secondo i dati dello European climate and health observatory, tra il 2000 e il 2018 in Europa ben 835mila morti sono state causate dalle temperature estreme e la scorsa estate ne è stata un esempio. A livello mondiale il dato è pressocché raddoppiato nello stesso arco temporale. Tornando al bacino Mediterraneo, è ancora fresco il ricordo della devastante alluvione che ha colpito la Libia, causando un bilancio di vittime senza precedenti: fin dalle prime ore, dopo le violente piogge e il conseguente cedimento di due dighe nell’area di Derna, si sono stimate 10mila vittime, oltre a migliaia di dispersi e feriti. In questo caso si è parlato, per la seconda volta in poche settimane (prima era toccato anche all’Italia, in agosto), di “Medicane”.
Il termine, sintesi giornalistica di Mediterranean hurricane, è però utilizzato anche dai climatologi che da tempo studiano i cambiamenti che stanno avvenendo nel Mare Nostrum. Di una forma di uragano tipica del Mediterraneo, infatti, aveva già scritto, prima dei fatti libici, la rivista Scientific Reports, spiegando: “I medicane hanno caratteristiche simili ai cicloni tropicali, sia quando vengono osservati sulle immagini satellitari che prendendo in considerazione le loro caratteristiche dinamiche e termodinamiche”. A colpire è soprattutto il fatto che si tratta di fenomeni che in passato erano associati soltanto ad aree tropicali, come la Florida. In comune hanno un “occhio”, con una spirale di nubi che lo circondano, anche se esistono alcune differenze rispetto a quanto registrano nel Mediterraneo: secondo gli autori dell’articolo, rispetto ai cicloni tropicali, “la durata dei Medicane è limitata a pochi giorni, a causa della ridotta estensione del Mar Mediterraneo, la loro maggiore forma di energia”. Inoltre, l’estensione del Medicane sarebbe minore in termini di chilometri.
“Potremmo definirlo come un piccolo uragano, una versione mediterranea. Per essere tale, però, occorrono due elementi: i venti al suolo devono essere di almeno 120 km orari; inoltre c’è una peculiarità unica per l’uragano del Mediterraneo, cioè che questo tipo di bassa pressione ha un cuore caldo. Significa che al centro la colonna verticale d’aria è più calda rispetto al contorno della depressione stessa. Questo è tipico delle tempeste tropicali e del Medicane, mentre solitamente le depressioni extratropicali hanno un cuore freddo, vale a dire che le temperature al centro, nell’occhio, sono più basse di quelle esterne”, spiega Massimiliano Fazzini, climatologo dell’Università di Camerino, coordinatore sul rischio climatico della Sigea, la Società italiana di Geologia ambientale, che in occasione dell’alluvione in Libia aveva raggiunto la Tunisia con l’intento di arrivare a Derna, fermandosi per l’impossibilità di accedere agli aeroporti vicini ai luoghi del disastro.
Lo stesso Fazzini, da sempre molto prudente nei commenti relativi ai cambiamenti climatici globali, chiarisce: “Va fatta una premessa: il Mediterraneo è un vero e proprio un hotspot, una zona particolare da studiare. Le interazioni con altri fenomeni estremi che si registrano nel mondo sono difficili da stabilire. Ciò che è importante sottolineare, però, è che negli ultimi 15 anni la possibilità che si formi un Medicane nella stagione tardo estiva-autunnale è triplicata. Prima ne vedevamo uno ogni 4/5 anni, mentre oggi la frequenza è di uno ogni anno e mezzo. Negli ultimi anni se ne sono verificati ben 5. Questo è un brutto segnale: in presenza di questo tipo di perturbazioni aumentano i rischi per la popolazione, come abbiamo visto a Derna”.
Le conseguenze di perturbazioni sempre più intense e violente, infatti, deve mettere in guardia dalle possibili conseguenze di dimensioni sempre più ampie. Nel caso della Libia, le abbondanti piogge hanno causato il cedimento delle dighe, dovuto a un cosiddetto ‘sifonamento’, delle pareti dei due versanti. Di fatto l’enorme massa d’acqua avrebbe scavato intorno, facendo venire meno l’appoggio laterale. “In questo caso va notato che non ci sono state vittime nei pressi delle dighe. Diverso è il discorso per gli abitanti delle zone a valle, dove la massa di acqua e fango ha trovato centri molto popolati. Questo ci deve insegnare e ricordare una cosa importante: non si deve costruire in prossimità dei fiumi e noi, in Italia, dovremmo saperlo visto cosa è successo solo pochi mesi fa in Emilia Romagna – spiega il climatologo – Con i cambiamenti climatici in atto i luoghi possono anche non essere di per sé rischiosi, ma diventano pericolosi se si costruisce a ridosso”, aggiunge l’esperto.
L’alluvione in Libia è un evento catastrofico, ma anche eccezionale, soprattutto per quell’area. Ma i fatti impongono riflessioni che non hanno confini. “Si è trattato senza dubbio di una precipitazione estremamente importante e abbondante. Basti pensare che in certe zone della Cirenaica sono caduti 420 millimetri di pioggia in 24 ore, a fronte di una media annuale di 350 millimetri. Si tratta, quindi, di un quantitativo che solitamente si registra in un anno e che, in questo caso, è caduto in un giorno solo”, spiega Fazzini, che aggiunge: “Lungo costa, invece, si sono abbattuti venti a una velocità di 180 km orari. Tutto ciò fa pensare – dati alla mano – che questo ciclone mediterraneo si sia evoluto verso un ciclone subtropicale, un cosiddetto ‘Medicane’, appunto. È chiaro, quindi, che questa è l’ennesima dimostrazione del fatto il bacino mediterraneo in tarda estate sta sperimentando tempeste tropicali”, sottolinea il climatologo.
Di clima, del resto, si è discusso anche al G20 in India, conclusosi proprio poco prima dell’alluvione in Libia. “Al summit se ne è discusso, appunto, ma alla fine senza conclusioni concrete, purtroppo. Il punto, invece, è l’esigenza di trovare soluzioni realmente, che pare non interessino davvero a nessuno”, osserva il climatologo. “La dimostrazione è che per la COP28 del 2023, la conferenza mondiale sul clima, si è scelta Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Io credo che sia quasi stucchevole dato che si tratta di un Paese che fonda buona parte della propria ricchezza sul petrolio – spiega Fazzini – Pensiamo anche ai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica): da sole India, Cina e Brasile contano 3 miliardi 600 mila abitanti. Se ora ne entreranno a far parte anche realtà come la penisola arabica, avranno la metà della popolazione mondiale, ma sono anche i Paesi dai quali proviene il 90% della produzione di petrolio. Al momento da queste realtà non arriva alcun segnale di voler invertire la rotta”.
“Ciononostante, noi abbiamo il dovere morale di fare qualcosa, di dare il nostro contributo per avere mari più puliti, ambienti meno inquinanti, e per contribuire alla neutralità – ipotetica – al carbonio entro il 2050. Io temo che sia un obiettivo troppo ottimistico, che difficilmente raggiungerà questa generazione, ma la speranza è che lo si possa fare con la prossima”, conclude il climatologo.
L’iniziativa privata e il decollo del settore aerospaziale
Domenico Letizia
A San Marino si è svolto il primo evento internazionale del settore aerospazio. Il 25-26 ottobre sul Titano vi è stata una grande opportunità di confronto per operatori economici, aziende, startup e investitori dell’industria “dei cieli”. Un appuntamento importantissimo per il settore aerospaziale e per le imprese private legate al settore. Un’operazione di marketing territoriale e industriale per la crescita economica e geopolitica del piccolo stato. La Guaita, conosciuta anche come la Rocca o semplicemente la Prima Torre, la maggiore nonché la più antica delle tre rocche che dominano la Città di San Marino, tenta di elevarsi verso lo spazio. Il 25 e il 26 ottobre 2023 vi è stato il primo evento internazionale legato al mondo dell’aerospazio nella Repubblica di San Marino. Una biennale dove per due giorni, la celebre Antichissima Terra della Libertà, ha ospitato B2B, matching, dimostrazioni, laboratori, convegni e approfondimenti sul tema aerospaziale: ricerca, esperienza, innovazione, tecnologie all’avanguardia, per la filiera e per tutto l’indotto. Si è trattato di una bella opportunità per operatori economici, aziende e startup, dove la conoscenza dei principali rappresentanti e investitori dell’industria aerospaziale, nonché delle realtà produttive e tecnologiche, in questo contesto, possono trovare nuove occasioni di crescita. Quello di San Marino è stato un evento importante per far comprendere le opportunità del settore anche per le imprese italiane. Il settore italiano dell’aerospace è composto da organizzazioni attive nella progettazione di componenti, sistemi, apparati ed equipaggiamenti, da aziende impegnate in lavorazioni in addictive manufacturing e altre che realizzano componenti in materiali compositi, oltre che da organizzazioni impegnate nei sistemi di controllo e comunicazione, in sistemi di spedizione e logistica specializzata, con circa il 70% delle loro produzioni che sono destinate ai mercati esteri. In questo mondo diviene innegabile non valutare, con la dovuta attenzione, l’alta valenza geopolitica, definendo non solo le traiettorie di sviluppo tecnologico ed economico, ma soprattutto le linee di tendenza relative alla strategia di politica estera che l’Italia perseguirà. In una fase storica in cui gli equilibri tra le grandi potenze sono definiti prevalentemente sul terreno dell’avanzamento tecnologico, della collaborazione industriale ed economica, l’Italia può assumere un ruolo centrale a livello europeo nel rafforzare la partnership con gli Stati Uniti. Lo Space è un qualcosa di estremamente verticale, che ha bisogno di essere compreso in traiettorie di politica industriale differenti, che dovrebbero essere sistemiche ed è forse venuto il momento di consolidare e promuovere la galassia delle nostre piccole medie imprese. In qualche caso la Space Venture Capital mania ha contagiato qualche Pmi che già sprovvista di poche traiettorie e di un sistema organizzativo e strategico debole si cimenta nel voler acquisire start-up e similari. Space Economy sembra essere diventato un termine passepartout per dimostrare come gli investimenti nel settore spaziale abbiano sicure ricadute commerciali e sociali, a beneficio del nostro Paese. Ma nell’attuale competizione globale, ciò accadrà solo attraverso una politica industriale con chiari obiettivi geopolitici, strategici ed economici. Con la graduale ripresa del settore A&D e la necessità di preservare il vantaggio tecnologico del nostro Paese, le aziende italiane stanno reindirizzando i propri sforzi sull’innovazione, finalizzata allo sviluppo di nuove tecnologie, sulla ricerca e creazione di nuovi mercati e, in generale, sull’espansione delle opportunità di crescita. Il governo italiano ha deciso di stanziare circa 2,3 miliardi del Recovery Fund a supporto della transizione digitale del settore con un focus particolare sul miglioramento delle tecnologie satellitari di osservazione della Terra e l’economia spaziale. Data la natura delle tecnologie aerospaziali (dual-use), sono attese anche ricadute indirette, ma positive, sul comparto della difesa in primis e sulla società a 360 gradi poi. Affinché si generino tutti i suddetti benefici e aumenti l’effetto moltiplicatore dell’industria sul nostro PIL diviene cruciale coordinare le azioni con quelle previste per la formazione tecnico-scientifica. Rispetto all’utilizzo delle risorse del PNRR, rimane qualche elemento di criticità: la scelta di dare attuazione a parte dei progetti PNRR avvalendosi del supporto tecnico-ammnistrativo dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), per quanto riguarda i programmi relativi al settore dell’osservazione della terra e dell’accesso allo spazio, per un importo complessivo di circa 1.3 miliardi di euro.
L’America di oggi e di domani: nuovi alleati e vecchi rivali
Eleonora Lorusso
Negli Stati Uniti che si preparano alla campagna elettorale delle presidenziali 2024 aumentano nazionalismo e divisioni interne. “L’America di oggi non è più quella dell’11 settembre 2001”, dicono gli esperti
Ventidue anni sono una vita e un attimo. Lo ha ricordato il presidente statunitense, Joe Biden, in occasione dell’ultimo anniversario degli attentati dell’11 settembre, inviando un messaggio da una base militare ad Anchorage, in Alaska, da dove ha commemorato le 2.977 persone che persero la vita negli attentati del 2001. Non ha partecipato direttamente alle tradizionali cerimonie sui luoghi degli attacchi a New York, Pennsylvania e a Washington, ma ha voluto sottolineare: “L’11 settembre cambiò la storia, ma non il carattere degli Usa”.
Eppure sono in molti a pensare che l’America di oggi sia molto diversa da quella di 22 anni fa. A livello culturale, etnico, ma anche nazionale: un’America profondamente divisa, che si avvia a vivere mesi di battaglie politiche in vista delle presidenziali del 2024. «Quello che è cambiato in questi 22 anni è che l’America ha pagato le conseguenze della iper reazione allo shock dell’11 settembre. Aver reagito con una strategia puramente militare a quegli attacchi terroristici ha aumentato il processo di dilapidazione delle risorse economiche, ma anche morali dell’America. L’impero statunitense, che era già in fase di sovraestensione, si è ulteriormente ampliato», spiega Federico Petroni, analista di Limes e curatore della rubrica-osservatorio sugli Stati Uniti Fiamme americane. «La conseguenza è stata duplice: da un lato si è consentito ai rivali di prepararsi a sfidare l’America, mentre questa era impegnata in altro; dall’altro si è avuta come conseguenza una disillusione della popolazione statunitense, a causa di una serie di guerre infinite. Il risultato è stato un calo molto forte della disponibilità popolare a sacrificarsi per l’interessa nazionale – chiarisce Petroni - Oggi gli americani sono meno propensi a usare la forza, perché l’hanno usata in modo sproporzionato in teatri come l’Iraq e l’Afghanistan».
Quello che contraddistingue oggi gli Stati Uniti è infatti un forte senso di contrapposizione interna e non a caso il messaggio del presidente Biden ha fatto appello all’unità. «Lo spettro del terrorismo e dell’islamismo non c’è più, ma soprattutto non c’è più nemmeno il simulacro di quell’unità nazionale che a quel tempo fu stimolata proprio dal terrorismo. Oggi gli Stati Uniti sono un Paese estremamente diviso dal punto di vista ideologico, etico, generazionale, è un Paese che si può definire in transizione verso nuovi equilibri. Quell’elemento unificante della rabbia e del dolore per il più grave attacco subito sul proprio territorio è quasi completamente svanito. Lo si è visto proprio dalla cerimonia di commemorazione per le vittime dell’11 settembre che, pur essendo bipartisan, sullo sfondo ha mantenuto forti divisioni tra repubblicani e democratici», spiega Oliviero Bergamini, responsabile esteri del Tg1, già corrispondente dagli Stati Uniti e autore di numerosi libri sulla storia americana.
Anche sul fronte della politica estera, però, si sono registrati cambiamenti, con nuovi “avversari” e competitors: «Anche in questo caso è cambiato molto: la Cina ha assunto una proporzione totalmente nuova: è un concorrente aggressivo e un avversario nella battaglia per l’egemonia nel mondo. Lo scenario è comunque complicato» osserva Bergamini, che sottolinea come all’indomani del G20 in India questo paese ha dimostrato la sua importanza: «È in forte ascesa e potrà fare asse con altri Paesi non allineati e meno soggetti all’influenza di Washington rispetto all’indomani dell’11 settembre. Oggi gli Usa hanno una posizione meno forte, autorevole e incondizionata a livello globale, anche se mantengono una leadership ad ampio raggio. Non siamo ancora al multipolarismo, ma ci si avvicina a un bipolarismo o tripolarismo, comunque temperato», spiega Bergamini.
«Sui propri avversari gli Usa hanno le idee chiare – concorda Petroni - Per prima di gran lunga la Cina, poi in misura minore la Russia. Ci sono anche alcuni rivali ancillari regionali come Iran e Corea del Nord. Per quanto riguarda gli alleati, invece, per gli Usa sono quei Paesi inseriti in una disponibilità strategica, dei quali pretendono di usare alcune delle loro risorse per fini e interessi americani. Potremmo chiamarli ‘Occidente allargato’ o ‘Occidente strategico’, cioè Paesi membri di Unione europea e della Nato. Nella zona dell’Indo-pacifico, invece, sono Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Infine, seguono Paesi che gli Usa stanno attivamente corteggiando per usarli in chiave di accerchiamento di Russia e Cina, come l’india, le Filippine e il Vietnam».
Ma come sono cambiati, nello specifico, i rapporti con l’Europa e come potrebbero cambiare con le nuove elezioni americane del 2024 alle porte? «Biden è l’ultimo atlantista di ferro di una generazione che vedeva un rapporto privilegiato tra Usa ed Europa, che era considerata un elemento importante della solidità americana nel mondo. Se dovesse arrivare un presidente più giovane, non avrebbe avuto l’esperienza della Guerra fredda, in cui c’era una comunità di interessi tra Europa e Usa. Ovviamente se dovesse vincere un Trump o comunque un repubblicano, il rapporto Usa-Ue ne risentirebbe platealmente, perché ormai il partito repubblicano è un partito nazionalista», risponde Petroni.
Proprio le elezioni del prossimo anno potrebbero rappresentare uno spartiacque nei rapporti con l’Europa, ma anche negli equilibri interni agli Usa. «A unire Usa ed Europa oggi c’è sicuramente il tema della guerra in Ucraina: il presidente statunitense Joe Biden è sicuramente contentato di come i Paesi Ue sostengono la guerra contro Putin, ma sul piano economico e della rilevanza geostrategica l’Europa sta perdendo terreno. Intanto già dai tempi di Obama e forse anche prima, gli Usa guardano con nuova e maggiore attenzione all’Asia. Peraltro l’Ue al suo interno non è compatta, quindi gioca il proprio ruolo, ma è destinata a contare meno. Dal punto di vista economico, invece, il piano di riconversione ecologica sostenuto da Biden si traduce sostanzialmente in protezionismo rispetto a molti prodotti europei e questo crea tensione. Per ora tutto ciò è ancora temperato dalla necessità di fare fronte comune contro la Russia di Putin in Ucraina», sottolinea Bergamini.
In effetti negli Usa è aumentato il nazionalismo, cavalcato anche da figure emergenti come quella di Vivek Ramaswamy, candidato alle primarie repubblicane e considerato più “falco” di Donald Trump. Imprenditore e uomo d'affari, fondatore della Roivant Sciences GmbH, già a capo di 10 diverse aziende, è laureato alla Yale Law School e all'Harvard College. Nato a Cincinnati (Ohio) da genitori immigrati, 38 anni, rappresenta un esempio della nuova classe sociale emergente, multietnica. «È un personaggio interessante per la sua storia personale, per la sua origine etnica ed è molto abile con i media, dai quali riceve molta attenzione», osserva Bergamini. Le sue origini, tra l’altro, conferma la crescente presenza di cittadini di origini indiane sul suolo americano. Basti pensare che la popolazione indiana rappresenta il secondo più grande gruppo di immigrati negli Usa, dopo Messicani e Sino-filippini. Si stima che oggi vivano in America 2,7 milioni di indiani, che hanno contribuito alla crescita del 6% della quota di cittadini di origine straniera nati negli Stati Uniti e il cui numero è in crescita. «Figure come quella di Ramaswami vedono l’Europa come un fardello, un problema che rischia di trascinarli in guerra e come Paesi che si intromettono a sproposito nel dibattito puramente nazionale americano, oltreché che come concorrenti commerciali», osserva Petroni.
Quanto alla possibilità che possa arrivare alla Casa Bianca o alla nomination repubblicana, però, Bergamini è cauto: «Mi sembra non abbia la stessa forza di Donald Trump, nonostante i suoi guai giudiziari e anzi anche grazie a questi, che rafforzano la sua immagine di martire presso i suoi sostenitori. Vedo improbabile che possa ottenere la nomination repubblicana, peraltro sarebbe un candidato più debole di Trump contro Biden. Però è interessante come emergano nuove figure, indice di una trasformazione in atto negli Usa, dove tra pochi anni i bianchi non ispanici diventeranno una minoranza. L’America diventerà ancor più multietnica e aumenteranno i nuovi leader giovani di questa estrazione, sia repubblicani che democratici», conclude Bergamini.
BRICS: cosa si cela dietro al muro
Marco Bertolini, d’Orso Aldo e Sitta Francesco
Nell’ultimo periodo, in seguito alle dichiarazioni del Summit 2023 in Sudafrica,si è tornati a parlare di BRICS. In questo incontro è stata annunciata la candidatura all’entrata di nuovi paesi come Iran, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto, Etiopia e Argentina, insieme ad altri 22 che hanno formalmente richiesto l’adesione. La notizia è stata accolta con timore e preoccupazione soprattutto dall’Occidente, in quanto questo gruppo di paesi dalle economie emergenti viene spesso ritenuto un fronte più compatto di quanto effettivamente sia.
Fu l’economista Jim O’Neill, presidente della Goldman Sachs, il primo a coniare il termine BRIC nel 2001, prevedendo che le economie di Brasile, Russia, India e Cina sarebbero cresciute a dismisura negli anni a venire e che questi ultimi avrebbero dunque impattato sull’assetto economico mondiale e invitò le istituzioni occidentali dell’epoca a dare maggiore peso ai nuovi attori emergenti. Inizialmente si avanzò addirittura la proposta di sostituire alcuni membri occidentali del G7 con queste economie emergenti. L’Occidente però non si dimostrò favorevole nel costituire un dialogo vero e proprio con questi paesi, mentre i BRIC richiedono un sostanziale cambio al vertice e il riconoscimento di una maggiore rappresentatività.
Nel 2009 si tenne a Ekaterinburg il primo Summit dei BRIC, che ebbe come obiettivi la riforma delle istituzioni politiche ed economiche internazionali per riconoscere a Brasile ed India un ruolo di maggiore importanza, costruendo così un sistema internazionale più “democratico”, non più limitato a pochi paesi privilegiati. L’incontro dunque rendeva pubblico, in un anno che mise le economie occidentali a dura prova, il malcontento dei BRIC verso un mondo che ormai non rispecchiava i rapporti di forza globali. Nel 2010 avvenne l’evoluzione dell’acronimo in “BRICS” in seguito all’avvicinamento del Sudafrica al gruppo di paesi dalle economie emergenti. All’interno del percorso di affrancamento dalle istituzioni economiche del mondo occidentale, il passo fondamentale mosso dai BRICS fu quello di favorire lo sviluppo economico reciproco senza dover far riferimento al FMI o alla Banca Mondiale. Al Summit di Durban del 2013 vennero gettate le fondamenta per la creazione della New Development Bank, con lo scopo di proteggere le economie dei paesi membri e sostenerne la crescita. Dal 2014, con l’occupazione della Crimea da parte della Russia, i BRICS si rafforzarono inoltre in chiave politica, intensificando le relazioni reciproche.
Sul fronte interno, tuttavia, essi non sono assolutamente esenti da problemi. Raramente, infatti, sono gli interessi comuni a guidare i rapporti tra i membri e molto più spesso, invece, questi ultimi trovano alfieri unicamente dei propri obiettivi nazionali. Ciò risulta ovviamente un’enorme debolezza che gioca a sfavore dell’organizzazione nel caso di un confronto, ipotetico ma futuribile, con le organizzazioni occidentali. Esempio di una delle numerose contraddizioni che caratterizzano i BRICS è senza dubbio la divergenza che ha come protagoniste la Cina e l’India riguardo gli scontri sul confine del Ladakh. Quest’area è ricca di giacimenti minerari e rappresenta un fondamentale crocevia di scambi commerciali tra l’Asia Meridionale, Centrale e Orientale e nel corso del 1960 subì una divisione tripartita tra India, Pakistan e Cina. Se è vero che la Cina riuscì a concludere accordi circa il confine della zona con il Pakistan, è da notare come le frontiere tra i due paesi più popolosi del mondo non siano ancora delineate. Ciò ha portato a scontri tra India e Cina, iniziati nel 1962 e in seguito ai quali venne istituita la LAC, Line of Actual Control, un confine provvisorio delineato al momento dell’ordinanza cinese del “cessate il fuoco”. Esso, tuttavia, è un confine de iure ma non de facto, che ha dato vita a numerosi sconfinamenti di ambo gli eserciti e a veri e propri combattimenti all’arma bianca nel 2020 che hanno mietuto anche alcune vittime tra le guardie di frontiera.
Un altro esempio piuttosto noto delle divergenze tra paesi BRICS riguarda l’insieme di dichiarazioni e posizioni discordanti russe e cinesi circa il conflitto in Ucraina. Sin dal suo inizio, infatti, il rapporto tra i due paesi ha subito numerosi mutamenti e, nonostante sia ormai chiaro l’allineamento ideologico tra Russia e Cina circa la contrarietà dell’espansione della NATO, Pechino si riserva posizioni di ambiguità, le quali, da un lato possono essere intese come la riprova di un sostegno nei confronti della Russia, mentre dall’altro possono essere interpretate come una presa di distanza dalle sue azioni. Non è d’altronde una novità che lo stretto legame russo-cinese leda notevolmente gli affari cinesi con l’Occidente, che dal punto di vista economico interessano all’ “Impero di Mezzo” decisamente di più di quelli con la Russia. Essa infatti ha assunto posizioni decisamente meno provocatorie di quelle russe e a favore dell’integrità territoriale ucraina.
Inoltre, gli attriti sono presenti persino tra alcuni dei paesi richiedenti l’ingresso ai BRICS, come nel caso dell’Etiopia e dell’Egitto. Recentemente, tra questi due si sono risollevate delle tensioni in merito al progetto della “Grand Ethiopian Renaissance Dam" che mira alla costruzione di una diga sul corso del Nilo Azzurro, uno dei due rami confluenti nel Nilo. Nonostante da un lato questa iniziativa permetterebbe la costruzione del più grande impianto idroelettrico in Africa, che contribuirebbe ad affrontare la crisi energetica che da decenni rallenta la crescita economica etiope, l’Egitto ne sarebbe fortemente danneggiato, in quanto il progetto andrebbe a ridurre drasticamente il volume d’acqua che scorre lungo il fiume da cui provengono il 97% delle risorse idriche del paese.
La costruzione della diga, partita dal 2011, negli ultimi anni ha visto emergere nuove controversie tra Etiopia da una parte ed Egitto e Sudan dall’altra soprattutto nel momento in cui il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed arrivò a minacciare qualsiasi tentativo di contrasto al progetto con un intervento dell’esercito.
Il 10 settembre di quest’anno, tuttavia, è stato annunciato dal governo etiope il compimento della diga all’insaputa dell’Egitto, che in seguito alla dichiarazione ha rinforzato le proprie critiche sull’operato etiope, considerato unilaterale ed in violazione degli accordi di cooperazione raggiunti nel 2015 tra Egitto, Etiopia e Sudan.
Si può affermare, dunque, che i BRICS e i possibili nuovi ingressi non rappresentano ancora un pericolo imminente per l’attuale equilibrio politico-economico mondiale e allo stesso modo nei momenti critici i BRICS si rivelano quello che sono, ovvero un’unione apparentemente coesa ma che cela al suo interno molteplici contraddizioni.
Occhio alla penna!
Cristina Pappalardo
La fotografia è uno strumento di geopolitica. È stata fondamentale nella documentazione geografica del territorio, nella sua descrizione e nella sua realizzazione grafica. Geografia e cartografia diventano oggetti di interesse dei circoli culturali dalla metà del novecento che considerano le foto delle rappresentazioni realistiche, dei documenti sociali utili per delineare delle trasformazioni paesaggistiche, quali urbanizzazione o ruralizzazione, o delle mutazioni socio-culturali.
Nel Rinascimento la cartografia era strumento utile per i colonizzatori occidentali per scoprire nuovi mondi e testimoniarne la presa di possesso. L’arte visiva iniziò dunque a trasmettere delle conoscenze pregne di significati socio-politici. La fotografia è stata spesso un mezzo di comunicazione culturale e artistica volta a sottolineare il potere degli occidentali.
L’invenzione della pellicola cinematografica risale al 1885 ad opera dell’italiano George Eastman, mentre la prima ripresa cinematografica è ritenuta essere Man Walking Around a Corner, cortometraggio di 3 secondi, realizzato il 18 agosto 1887 dal francese Louis Aimé Augustin Le Prince. Il 28 dicembre 1895 i fratelli Lumière organizzano la prima proiezione cinematografica a Parigi. Si resta dunque in ambito europeo.
Una stessa foto o una sequenza di un film viste da prospettive differenti possono suscitare reazioni di varia natura perché sono fonti di comunicazione non verbale fortemente orientate. Basti pensare alla propaganda politica nei rotocalchi dei regimi totalitari in Italia, Germania, Spagna o alle riviste in Russia che descrivevano i piani quinquennali e l’affermarsi del socialismo in quel paese. Le stesse capacità condizionanti e persuasive della fotografia le detiene la scrittura ora come allora. Lei che è comunque profondamente legata alla sfera visiva. Fotografi e scrittori in fondo si assomigliano. Entrambi sono accomunati dalla passione per ciò che descrivono ontologicamente e deontologicamente. Sono legati al momento d’ispirazione, allo scatto casuale, ad una sensazione istantanea. Ne sono esempi vividi Steve Mc Curry, nella “Giovane ragazza afghana rifugiata dagli occhi verdi” e Robert Doisneu nel “Bacio all’hotel de Ville”, simbolo di rinascita dopo la Seconda Guerra Mondiale, o ancora la foto del ribelle faccia a faccia col carrarmato in piazza Tienanmen. Queste sono foto politiche di denuncia sociale e suscitano una forte risposta degli spettatori.
Fotografia e scrittura immortalano un tempo e un luogo rendendoli speciali, quasi cristallizzandoli e impreziosendoli di spunti a volte soggettivi a volte oggettivi. Alcuni scrittori hanno preso la macchina fotografica in mano per immortalare i tratti più significativi della loro vita per poi trasformarli in trama romanzata; altri hanno fatto dei loro romanzi un pretesto di denuncia sociale.
Lewis Carroll, scrittore di Alice nel paese delle meraviglie, non esisterebbe senza considerare la sua bravura in quanto fotografo. Lo scrittore vittoriano ricercava la bellezza e la purezza nei soggetti che fotografava e mirava a sottolineare le ipocrisie e le costrizioni che la società del suo tempo imponeva alle classi altolocate.
Il romanzo “Al Faro” di Virginia Woolf, con le sue descrizioni paesaggistiche accurate quasi fossero un reportage di viaggio, non si spiegherebbe se non si facesse menzione delle doti artistiche della prozia della scrittrice, la famosissima fotografa, Julia Margaret Cameron.
Eppure l’arte visiva non fa solo da cornice ai romanzi, bensì da protagonista. Diventa soggetto metacognitivo come ad esempio nei testi di Italo Calvino. La scrittura è un modo di fare luce con la penna. Un lettore poco esperto che magari viaggia di rado si prefigura lo stesso “quel ramo del lago di Como” di Manzoni solo leggendo le pagine dei Promessi Sposi. Da sempre in letteratura si trovano moltissimi romanzi in cui la fotografia è tematizzata nel genere del ritratto, come ad esempio l’album di famiglia: fotografia della moglie, del marito, di qualche caro. Molti romanzi ruotano attorno al rapporto che il protagonista ha con il suo ritratto, Dorian Gray di Wilde docet. Vi sono però altri romanzi contemporanei che parlano dei ritratti di famiglie importanti, ad esempio le autobiografie dei reali britannici.
Jack London, Giovanni Verga, Émile Zola, Allen Ginsberg, August Strindberg, Silvio Perrella e Alessandro Baricco hanno fatto delle loro ricerche del vero, dei loro ritratti psicologici, dei loro reportage umani fonti di inesauribile produzione letteraria.
Sguardo obiettivo, duplice punto di vista, esperienza soggettiva del reale specchio però delle emozioni: tutto questo è altro ancora suggerisce il connubio dato dalla parola e dall’ immagine. Del resto è stato H. C. Bresson a spiegarci che: “La fotografia viene da sola […]. Si può paragonare alla differenza tra un libello di propaganda e un romanzo. Il romanzo deve passare per tutti i canali nervosi, per l’immaginazione. Ha molta più forza di un pamphlet a cui si getta un’occhiata per poi buttarlo via. E la poesia è l’essenza di tutto […]. Amo scattare. Essere presente. È come dire: “Sì! Sì! Sì!”, come le ultime tre parole dell’Ulisse di Joyce”.
UN LIBRO PER IL MONDO
Geopolitica della Mente, l’intelligence nel campo di battaglia
Mario Caligiuri, esperto di comunicazione ed intelligence, torna in libreria con questo saggio datato 2023. Quindi fresco di stampa.
“Le tecnologie rappresentano un formidabile strumento di dominio che ha come obiettivo definitivo la conquista della mente, oltre la quale non c'è altro”. È il suo principale messaggio: “Per capire quello che sta accadendo, dobbiamo cogliere i segnali deboli e unire i punti. Di conseguenza, il metodo dell’Intelligence diventa decisivo. In questo modo, sapremo guardare con occhi diversi la guerra in Ucraina e lo scandalo Qatargate al Parlamento europeo, le tensioni anarchiche nel nostro Paese e le reali dinamiche della riconferma del presidente della Repubblica, i limiti evidenti dell’informazione italiana e gli aspetti necessari della riforma dell’Intelligence nazionale”.
Queste e altre vicende vengono illuminate con una nuova luce, andando al di là delle apparenze per evitare di finire nell’ingranaggio del pensiero unico e della disinformazione. Caligiuri struttura l’opera in sei capitoli che hanno una premessa: la contestaualizazione dell’arma intelligence.
Mario Caligiuri è professore ordinario di pedagogia all’Università della Calabria, dove nel 2007 ha fondato con Francesco Cossiga il primo Master in Intelligence del nostro Paese. È presidente della Società Italiana di Intelligence e direttore dell’Osservatorio sulle politiche educative dell’Eurispes. Autore della voce “Intelligence” nella “Enciclopedia italiana” della Treccani, per Mazzanti ha pubblicato Intelligence Missione 2022. Un anno di analisi da Capitol Hill a Kabul.
Il libro: Geopolitica della Mente, l’intelligence nel campo di battaglia, Mario Caligiuri, Venezia, 2023.