Biblioteche sotto assedio: quando la guerra cancella la memoria / Libraries Under Siege: When War Erases Memory

Nei conflitti del XXI secolo, la cultura è diventata un bersaglio. Non più solo danni collaterali, ma obiettivi precisi: biblioteche, archivi, musei e centri documentazione vengono colpiti, saccheggiati, bruciati. L'obiettivo? Cancellare l'identità collettiva di un popolo colpendone la memoria.
È successo a Sarajevo, nel cuore dell'Europa, quando nel 1992 la Biblioteca Universitaria venne distrutta durante l'assedio. È accaduto a Mosul, in Iraq, dove l'ISIS ha incendiato archivi storici e collezioni inestimabili. Succede ancora oggi in Ucraina: l'UNESCO ha registrato decine di attacchi a istituzioni culturali solo nel 2022. Ma l'elenco è lungo e tocca anche Palestina, Yemen, Mali, Sudan, Afghanistan. Dovunque la guerra si trasformi in conflitto identitario, i luoghi della memoria diventano campi di battaglia.
Dietro ogni rogo, ogni crollo, ogni dispersione di manoscritti c'è una strategia. A volte si vuole indebolire il senso di appartenenza di una comunità; altre volte si intende cancellare tracce storiche ritenute "scomode"; altre ancora, semplicemente, si mira a impedire il passaggio della conoscenza. La distruzione può essere brutale – una bomba, un incendio – oppure sottile: digitalizzazioni interrotte, collezioni smembrate, accessi negati.
La comunità internazionale osserva e, in parte, reagisce. Organizzazioni come l'UNESCO, la Corte Penale Internazionale (ICC) e l'Aliph Foundation stanno sviluppando strumenti giuridici e operativi per contrastare questi attacchi: documentazione dei danni, sanzioni, tutela dei beni in emergenza. Ma nei teatri di guerra attivi, dove spesso manca anche il riconoscimento giuridico degli attori in campo, l'efficacia di queste azioni resta limitata.
Eppure la posta in gioco è altissima. Distruggere una biblioteca non è solo un gesto simbolico. È un colpo inferto al futuro. Le società in guerra si risollevano anche attraverso la ricostruzione delle proprie narrazioni, delle proprie radici culturali. Senza archivi, senza libri, senza memoria condivisa, è la ricostruzione stessa a diventare più fragile.
Per questo la difesa del patrimonio culturale non può essere solo un atto morale. Deve essere parte integrante delle strategie di pace, di ricostruzione, di diplomazia. Perché dove bruciano i libri, prima o poi bruciano anche le persone.
Antonio Mazzanti
Libraries Under Siege: When War Erases Memory
In 21st-century conflicts, culture has become a deliberate target. No longer merely collateral damage, cultural institutions—libraries, archives, museums, and documentation centers—are being attacked, looted, and destroyed. The goal is clear: to erase a people's collective identity by striking at its memory.
It happened in Sarajevo, in the heart of Europe, when the University Library was reduced to ashes during the 1992 siege. It happened in Mosul, Iraq, where ISIS burned down priceless historical archives. And it continues today in Ukraine, where UNESCO reported dozens of attacks on cultural institutions in 2022 alone. Similar incidents have occurred in Palestine, Yemen, Mali, Sudan, Afghanistan. Wherever war takes on an identity-based dimension, places of memory become battlegrounds.
Behind every fire, every collapse, every vanished manuscript lies a strategy. Sometimes the aim is to weaken a community's sense of belonging; other times, to erase uncomfortable historical traces; and often, simply to interrupt the transmission of knowledge. Destruction can be brutal—a bomb, a fire—or more insidious: interrupted digitization projects, fragmented collections, restricted access.
The international community is watching—and, to some extent, responding. Organizations such as UNESCO, the International Criminal Court (ICC), and the ALIPH Foundation are working to develop legal and operational tools to counter these attacks: documenting damage, enforcing sanctions, and protecting heritage in emergencies. Yet in active war zones, especially where international recognition is lacking, these efforts remain limited.
And the stakes are high. Destroying a library is not merely a symbolic act—it's a blow to the future. Societies rebuild through the restoration of their stories, their cultural roots. Without archives, books, or shared memory, reconstruction itself becomes fragile.
That's why protecting cultural heritage must be more than a moral imperative. It should be part of peacebuilding strategies, reconstruction efforts, and cultural diplomacy. Because where books are burned, history teaches us, people are never far behind.
Antonio Mazzanti