Fine della luna di miele Trump-Netanyahu? / End of the Trump-Netanyahu Honeymoon?

Quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, Benjamin Netanyahu ha esultato immaginando un nuovo corso per le relazioni fra Stati Uniti e Israele dopo il periodo difficile della presidenza Biden. In effetti nei primi mesi le cose sono andate proprio in questa direzione: nessuna pressione americana per una soluzione a due stati, nessun rischio di sanzioni o tagli agli aiuti militari, via libera alle incursioni militari israeliane a Gaza, in Libano, in Siria e nello Yemen. Ma quell'intesa iniziale forse si sta incrinando. Oggi, Trump e Netanyahu sono in rotta di collisione su alcuni dei principali dossier della regione. Netanyahu spinge per un attacco preventivo contro i siti nucleari iraniani, mentre Trump insiste su una strategia negoziale per impedire a Teheran di ottenere l'arma atomica, anche tollerando un programma civile di arricchimento dell'uranio.
Sulla guerra a Gaza, le posizioni sono altrettanto distanti: Trump preme per un cessate il fuoco e per un piano di ricostruzione che trasformi l'area in una "Riviera del Medio Oriente", mentre Netanyahu vuole proseguire il conflitto, anche per tenere coesa la propria coalizione.
Il recente viaggio di Trump nel Golfo ha reso evidente lo spostamento di priorità: Arabia Saudita, Qatar ed Emirati sono pronti a investire centinaia di miliardi negli Stati Uniti, ma in cambio chiedono la fine del conflitto e passi concreti verso un negoziato politico. Israele, esclusa dal tour, osserva con attenzione e con molte perplessità.
Alcuni membri dell'Amministrazione Trump, incluso l'inviato speciale in Medio Oriente Steve Witkoff, hanno iniziato a criticare apertamente la gestione israeliana della guerra e a chiedere il ritorno degli ostaggi come primo obiettivo. Anche Trump, per la prima volta, ha invocato esplicitamente la fine del conflitto.
Nonostante le dichiarazioni pubbliche di amicizia e sostegno granitico, Netanyahu scopre ora i limiti dell'alleanza: per Trump, Gaza non è una priorità strategica, ma un potenziale intralcio ai suoi obiettivi diplomatici e commerciali globali.
Enrico Ellero
End of the Trump-Netanyahu Honeymoon?
When Donald Trump returned to the White House, Benjamin Netanyahu rejoiced, envisioning a new era in U.S.-Israel relations after the difficult Biden presidency. And indeed, in the early months, things seemed to head in that direction: no American pressure for a two-state solution, no threat of sanctions or cuts to military aid, green light for Israeli military operations in Gaza, Lebanon, Syria, and Yemen. But that initial alignment may now be cracking.
Today, Trump and Netanyahu are on a collision course over several of the region's key issues. Netanyahu is pushing for a preemptive strike against Iran's nuclear sites, while Trump insists on a negotiated strategy to prevent Tehran from obtaining a nuclear weapon—even if it means tolerating a civilian uranium enrichment program.
On the Gaza war, their positions are equally divergent: Trump is pushing for a ceasefire and a reconstruction plan aimed at turning the area into a "Middle Eastern Riviera," while Netanyahu wants to continue the conflict, in part to keep his coalition united.
Trump's recent trip to the Gulf made the shift in priorities clear: Saudi Arabia, Qatar, and the UAE are prepared to invest hundreds of billions in the United States, but in exchange they demand an end to the conflict and concrete steps toward a political settlement. Israel, excluded from the tour, watches with keen attention—and considerable concern.
Some members of the Trump Administration, including Special Envoy to the Middle East Steve Witkoff, have begun openly criticizing Israel's handling of the war and are calling for the return of the hostages as the primary objective. Even Trump, for the first time, has explicitly called for an end to the conflict.
Despite public declarations of friendship and unwavering support, Netanyahu is now discovering the limits of the alliance: for Trump, Gaza is not a strategic priority, but a potential obstacle to his broader diplomatic and commercial goals.
Enrico Ellero