Nel momento in cui lo spazio extra-atmosferico si trasforma da palcoscenico della sfida geopolitica a territorio d'interesse economico, tecnologico e strategico, si impone una riflessione che va oltre l'ingegneria aerospaziale e le logiche di potenza. Si tratta di interrogarsi, filosoficamente e giuridicamente, su cosa significhi conquista quando il teatro non è più il pianeta Terra ma lo spazio esterno. In altre parole: quale diritto per lo spazio?
Le missioni spaziali di aziende private come SpaceX e Blue Origin, accanto agli investimenti pubblici di Stati Uniti, Cina, India, Europa, aprono scenari inediti. Al centro c'è la tensione, già ben nota al pensiero liberale, tra libertà e potere, tra iniziativa individuale e bisogno di regole. Ma lo spazio, per sua natura, sfida ogni precedente fondamento giuridico. Serve allora uno sguardo lungo, capace di tenere insieme i principi del costituzionalismo occidentale con le sfide di un mondo post-terrestre.
Un vuoto giuridico in espansione
Il diritto internazionale dello spazio, ancora fondato sul Trattato del 1967 (Outer Space Treaty), si basa su alcuni principi generali: lo spazio non può essere oggetto di appropriazione sovrana, deve essere utilizzato per scopi pacifici e a beneficio di tutta l'umanità. Ma si tratta di enunciati deboli, figli dell'epoca della Guerra Fredda, oggi messi alla prova da nuove forme di protagonismo privato e dalla corsa alle risorse extraterrestri (acqua lunare, minerali asteroidali, orbite satellitari).
Il diritto appare in ritardo rispetto all'innovazione tecnologica e al dinamismo degli attori. Questo "vuoto giuridico" è, però, tutt'altro che neutro: rischia di diventare terreno di affermazione del più forte. La domanda non è allora solo quali norme, ma quale visione del diritto deve guidare l'azione nello spazio.
Matteucci: il costituzionalismo come grammatica del potere
Il pensiero di Nicola Matteucci, figura eminente del costituzionalismo liberale italiano, offre una chiave di lettura preziosa. Per Matteucci, la funzione primaria del diritto costituzionale è quella di porre limiti al potere e proteggere la libertà. La costituzione non è una semplice tecnica normativa, ma l'espressione di una visione antropologica e politica: l'uomo è portatore di diritti anteriori allo Stato, e lo Stato è legittimo solo se li riconosce e li garantisce.
Ma come si declina questa concezione quando lo spazio diventa estensione della sfera d'azione politica, economica e tecnologica? Se il potere si proietta oltre l'atmosfera, anche la logica costituzionale dovrebbe seguirlo, senza restare confinata ai territori nazionali. Ne nasce una questione di "costituzionalismo globale dello spazio": chi definisce le regole, chi le fa rispettare, chi tutela i diritti dei futuri lavoratori spaziali o dei cittadini connessi a infrastrutture satellitari vitali?
Hayek e Friedman: libertà, mercato e ordine spontaneo
Sul fronte opposto, la scuola di Chicago, con Friedrich Hayek e Milton Friedman, guarda con sospetto a ogni tentativo di pianificazione e regolazione centralizzata. Per Hayek, l'ordine sociale nasce non dall'imposizione, ma dall'evoluzione spontanea di regole generali e astratte. Friedman, dal canto suo, esalta il mercato come spazio di libertà individuale e creatività.
Da questo punto di vista, la corsa allo spazio dovrebbe essere lasciata al dinamismo del mercato. Le imprese private non vanno ostacolate, ma semmai incoraggiate come motori del progresso. La frontiera spaziale è, in questa ottica, la prosecuzione ideale del libero mercato terrestre. Le colonie lunari o le stazioni orbitanti diventano nuove espressioni della libertà imprenditoriale, non necessariamente soggette ai codici giuridici degli Stati.
Ma qui emerge una tensione interna al liberalismo stesso: può esistere libertà senza un quadro minimo di regole? Hayek stesso parlava della necessità di un rule of law, un sistema di norme generali che garantisca prevedibilità e tutela. Senza questo, la libertà rischia di degenerare in dominio, e l'innovazione in arbitrio.
Costituzionalizzare lo spazio?
Proprio per questo, alcuni giuristi e filosofi del diritto iniziano a riflettere sull'idea di una costituzione dello spazio, o almeno di principi costituzionali spaziali: accesso equo alle risorse, tutela ambientale dell'ecosistema extraterrestre, salvaguardia dei diritti delle future generazioni, difesa contro forme di neo-colonialismo tecnologico. Non si tratta di replicare modelli terrestri, ma di pensare un nuovo ordine che tenga insieme libertà e responsabilità.
La sfida è culturale prima che tecnica. Serve un nuovo paradigma giuridico, capace di accogliere le intuizioni del liberalismo economico senza rinunciare alla funzione garantista del costituzionalismo. In gioco non c'è solo l'equilibrio tra Stato e mercato, ma la definizione stessa dell'umano nell'epoca post-terrestre.
Conclusione: tra utopia e necessità
La corsa allo spazio è oggi il luogo dove si intrecciano in modo più radicale le grandi domande della filosofia del diritto: chi ha il potere, chi lo limita, chi ne beneficia. L'espansione fuori dalla Terra non può essere un'esenzione dal diritto, ma semmai un banco di prova per i suoi principi più alti. Solo così la libertà oltre l'atmosfera potrà essere qualcosa di più della libertà del più forte.